Il deposito delle macchine stanche

- Certo che ce l'ho.
La "erre moscia", l'andatura arzilla ma non centrata, gli occhi vigili.
Ci accompagna in un luogo surreale. Centinaia e centinaia di macchinari per aziende alimentari giacciono immobili, accatastati ovunque.
Pensavo fosse un incontro di lavoro e invece si trasforma in un viaggio magico tra passato e futuro.
Ferro, acciaio, bulloni, ingranaggi, viti, tubi si intersecano raccontando la storia delle industrie del mondo.
Attaccati alle macchine sbucano vecchie etichette, prodotti residui, pezzi di gomme da masticare, biscotti, uova di cioccolato.
Ci sono attrezzature di ogni età buttate lì alla rinfusa, in attesa che qualcuno le veda di nuovo, le sistemi e le riporti in vita.
Quando le lasciano sole, nella notte, si scambiano esperienze: chissà cosa racconterà la macchina per fare i gianduiotti torinesi a quella dei biscotti che porta ancora in trionfo i vecchi stampi del Mulino Bianco.
Inizio a fotografare, loro si mettono in posa e sorridono. Mi rammarico di non aver portato con me la Canon.
Ci si perde in queste gallerie di modernariato.
Rimango indietro e non posso fare a meno di pensare a WALL-E, il lungometraggio di animazione della Pixar che mio figlio guarda e riguarda.
Ecco che, incredibilmente, mi arriva alle orecchie una musica lontana un po' distorta. Sono finita nel film. Incontrerò il robottino?
Mi godo la sensazione di solitudine. Sulla terra non c'è più nessuno. Solo oggetti, un tempo luccicanti, ora ricoperti di polvere.
Persa nel sottile confine tra il tempo e lo spazio. Piccoli angeli svolazzano posandosi amorevolmente su quelle vecchie dame. Potrebbero essere i batuffoli dei pioppi, ma sembrano angeli. 
Voglio capire a cosa servivano questi aggeggi e leggo le etichette che qualcuno ha sistemato su di loro:
torroniera - turboemulsore - micronizzatore - sfogliatrice da banco - planetaria - centrifuga - tappatore pneumatico - dissolutore - mulino a sfere - bassina girafusti.
Poesia nei laboratori alimentari.
Da queste macchine sono passate cose che abbiamo mangiato negli ultimi decenni. Direttamente dai laboratori al nostro palato.
Fuori l'aria è giallognola, ideale per il pianeta abbandonato.
Sento dei passi: ecco l'uomo delle macchine che arriva con la sua strana andatura. Le guarda con amore. Per ognuna ha una storia da narrare. Gli brillano gli occhi. Racconti e spiegazioni tecniche si mischiano in un balletto strampalato tra profumo di vaniglia e briciole di zucchero.
Qualunque cosa uno voglia trovare, lui assicura con grande soddisfazione: - certo che ce l'ho.
E sfreccia in tutta quella confusione, andando a colpo sicuro.
Capisco che lui è il WALL-E della nostra epoca.
A volte si ferma con sguardo lontano e parte l'aneddoto.
Un filo trasparente collega ogni macchinario alla sua vita e a chi lo ha posseduto. Lui srotola il filo e ricorda.
Vita e lavoro, viaggi e persone, l'esperienza fa crescere la saggezza e a volte anche la felicità.
Non so se sono più attenta a lui o alle sue creature.
Sparisce di nuovo. È sicuro che ci stiamo divertendo e ci abbandona a girovagare, sognanti, nei suoi capannoni da film.
Lo troviamo in un ufficetto mentre scrive a mano, è uomo d'altri tempi.
Riassume ciò che ci siamo detti, si illumina parlando di cioccolato e zucchero per ricoprire i confetti. Tira fuori un sacchetto trasparente pieno di caramelle coloratissime come quelle degli anni Settanta. Le regala a nostro figlio tutto fiero della scritta che è riuscito a ricamare al loro interno.
Quando oltrepassiamo la sbarra in uscita, dobbiamo dare due colpi di clacson. Così lui mette l'allarme, la musica si spegne e le sue creature possono tornare a dormire nel loro silenzio.

Foto GiBi