Intervista all'autore Elio Di Maio

 


1 Perché hai scritto il tuo romanzo: “Se corri più del destino”?
Perché ho sempre creduto di avere talento con la penna. Ho così voluto verificare se questa mia impressione fosse vera o meno, sottoponendomi al giudizio del pubblico.
Volevo anche condividere le mie fantasie e suscitare emozioni nel lettore. Ogni volta che leggevo un libro, sentivo una vocina che mi diceva: ‘Che bello, quanto è emozionante, perché non lo faccio anch’io?’

2 Nel libro hai inserito qualche cosa di personale o è tutto inventato?
Se dovessi metterlo in termini di percentuali, posso dire che un buon ottanta per cento nasce dalle mie esperienze. C’è una parte del romanzo che parla proprio di me, ma non svelo quale, lascio spazio all’intuizione del lettore. Si tratta di un personaggio che… sono io!

3 Perché un lettore dovrebbe acquistarlo?
Il libro, a mio avviso, dovrebbe essere acquistato da chi ha un’anima da ‘ramingo’, hai presente quei pionieri che vanno alla ricerca del nuovo? Io ho utilizzato uno stile di scrittura particolare che non ho ritrovato in altri testi che ho letto. Questo romanzo potrebbe interessare a chi ama l’avventura, l’amore, il thrilling. A lettori che non si limitano a determinati generi, che sono disposti a uscire dalla loro comfort zone, che sono disposti a sperimentare.

4 Nel tuo modo di scrivere, cosa c’è di innovativo?
Ho realizzato un continuum tra discorso diretto e indiretto, senza l’utilizzo dei dialog tag, cercando di realizzare un trait d’union originale tra i due momenti della narrazione.
Il racconto è gestito, in molte parti, dalla voce della coscienza del personaggio, questa è una scelta più comune, ma io ho cercato di personalizzarla, utilizzando un mio stile che credo sia facilmente riconoscibile.

5 Tu sei uno psicologo: psicologia e scrittura, possono avere qualche cosa in comune?
Ovviamente sì, anche in un testo di narrativa. I miei personaggi sono connotati da profili psicologici ben delineati e facilmente distinguibili uno dall’altro. Con l’aiuto della psicologia ho definito diversi tipi di relazione tra i personaggi, per poter conferire loro delle proprietà emotive differenti, sia in termini di contenuti che di profondità delle relazioni.

6 La tua vita in poche parole.
Potrei scegliere la fenice per rappresentarmi, un animale mitologico che conoscono tutti, in grado di rinascere dalle sue ceneri, di innovarsi nello splendore della sua magnificenza. La mia vita può essere paragonata a questo ‘risorgere’ della fenice. Ad un certo punto io mi sono trovato a un bivio e ho scelto di risorgere.

7 Come reagisci alle critiche?
Dipende, se la critica è costruttiva la prendo di buon grado e la interpreto come spunto per migliorare. Infatti, nella stesura del libro, ho potuto collaborare con più persone che mi hanno dato ottimi consigli, indispensabili per poter arrivare dove i miei occhi non riuscivano a osservare. Invece non digerisco bene la critica gratuita, fine a se stessa, che ha scopi diversi da quelli di evidenziare effettive mancanze.

8 Cosa vorresti fare ‘da grande’? Parlaci del tuo ‘vero volere’.
Voglio migliorare sempre di più le mie competenze in ambito psicologico, per poter aiutare, in maniera professionale e competente, le persone che si rivolgono a me.

9 L’esperienza più bella che ti ha regalato la scrittura.
La scrittura mi ha regalato serenità. Il suo valore terapeutico è ampiamente riconosciuto anche in ambito clinico. Posso sottolineare il fatto che il ‘premio’ più grande che ho ricevuto, deriva dall’affetto delle persone che mi hanno inviato feed back stupendi, dopo aver terminato la lettura del romanzo, e hanno voluto condividere le loro emozioni con me. Quindi, il contatto con il lettore, è stato davvero un’esperienza bellissima.

10 Cosa vorresti che ti chiedessi?
Questa è una domanda da psicologo. Perché molto spesso, in terapia, si cerca di far sì che sia il cliente a ‘condurre le danze’, anche attraverso questo tipo di domande, che servono per stabilire un focus terapeutico.
Forse potrebbe essere: scriverai un secondo libro? Ci sto pensando, perché la scrittura è un vero e proprio mestiere, al quale è necessario dedicarsi anima e corpo, io la considero una vera e propria professione, con la P maiuscola. 
Per ottenere risultati professionali è necessario dedicare, quotidianamente, diverse ore per stendere il testo e per correggerlo. 
Ora devo ricaricare le batterie, perché la scrittura del primo romanzo è stata impegnativa, molto coinvolgente. Più avanti, se riuscirò a incastrare gli impegni professionali con la mia motivazione, potrei progettare un nuovo libro. Ogni tanto ci penso, prendo appunti… e magari, da quelle ceneri, emergerà la mitica fenice.

Occhi neri - giallo

Accidenti, sono in ritardo anche stamattina. In clinica, se non timbro in orario, sono menate.
Non ho sentito la sveglia. È in camera e la nostra camera da letto è ancora sigillata con il nastro delle forze dell'ordine. Non posso entrare.
La notte sul divano è stata un incubo. Troppo scomodo. Ingoio il caffè, acchiappo lo spolverino rimasto a terra da ieri e sbatto la porta.
L’ascensore è occupato, scendo di corsa per le scale, finisce che mi trovo in fondo con qualche osso spezzato. Proprio ora che le cose stanno andando come voglio io.
Spalanco il portone e mi trovo davanti un muro di persone.
Brandiscono in aria i cellulari, qualcuno impugna, con una mano sola, una macchina fotografica che ondeggia sulla folla.
Mi guardo dietro alle spalle, non c’è nessuno. Vuoi vedere che sono qui per me?
«Alfonso, guarda di qua! Hai dichiarazioni da fare?»
«Girati! Cosa provi?»
«Chi ha ucciso tua moglie?»
«Sapevi che ti tradiva?»
Punto la testa in avanti come un ariete, stringo i gomiti al busto e procedo tra braccia, gambe, borse e scarpe colorate. Prendo qualche colpo, ma la mia mossa funziona. Una volta superata la barriera, mi metto a correre, i giornalisti, spiazzati, perdono qualche secondo per girarsi, riformare il blocco e iniziare l’inseguimento.
Mi lancio per le scale della metro, oggi solo scale in discesa. Un treno ulula in galleria, aumento la velocità, eccolo, le porte si aprono. Come sono lente oggi. Salto su e crollo su un seggiolino puzzolente, mi sa che qualcuno prima di me si è pisciato addosso. Ma oggi me ne frego proprio.
Guardo davanti, oltre il vetro, la locandina gialla del quotidiano locale strilla:


Ripenso alla sua bocca aperta, ai suoi odiosi occhi neri increduli, alle mani che stringevano il lenzuolo.
È morta in pochi secondi, dopo la punturina che le ho fatto sul tallone, mentre dormiva. Poi l’ho spogliata, l’ho incatenata al letto con le vecchie manette che avevo trovato in cantina e ho chiamato la polizia.
«Aiutatemi, sono appena tornato a casa, mia moglie è ammanettata al letto, senza vestiti, non respira, aiutatemi presto, via Costa 12. Sì, sono un infermiere, so prestare il primo soccorso, ma lei non respira, aiuto!»
Davanti a me un bambino, seduto tra i genitori, mi spara in faccia i suoi occhiacci neri, con lentezza alza un dito accusatore e rimane lì, a fissarmi con il suo dito in aria.
Mi schiaccio contro al sedile, cerco gli occhiali da sole per ripararmi da quegli occhi neri.
Ancora lei.
Gara SESE su FB

La Tucksja - racconto in 20 righe




— Per venerdì: Carla, Elena, Ale e Lele, fate una ricerca sull’economia della Nuova Guin… no, Nuova Zelanda. Scrivete almeno… almeno sei pagine.
Il giovane insegnante arrossì e si aggiustò il colletto della camicia che sembrava volesse azzannarlo. I magnifici quattro si incontrarono in biblioteca il pomeriggio stesso e si misero al lavoro tra sbadigli e battute.
— Idea! Lele si alzò di scatto, la sedia fece un verso che rimbombò nella stanza, la signora col giornale aperto si girò con gli occhi a fessura, l’anziano che brandiva la lente d’ingrandimento come una feroce bacchetta inarcò le sopracciglia, la secchiona brufolosa al tavolo vicino: — Schh! Con la voce più bassa che poteva Lele spiegò il suo piano: — State a sentire, il supplente non sa un caxxo, invece di spiegare, legge il libro. E allora noi gli prepariamo uno scherzo. Le teste dei compagni si avvicinarono al centro del tavolo.
Ale riuscì a scrivere una relazione abbastanza credibile di sei pagine, dimensione del carattere: sedici pt, per allungarle il più possibile.
Venerdì toccò a Carla leggere ad alta voce la ricerca, e senza ridere.
— Bla… bla… i prodotti della Nuova Zelanda sono molto importanti per il sostentamento della popolazione, tra questi annoveriamo: le mele, i kiwi e la tucksja.
Come da accordi, un compagno, al di fuori del gruppo, fece scattare la mano in alto: — Prof cos’è la tucksja?
Il professore liberò il primo bottone della camicia che diventava ogni giorno più aggressiva sulla sua gola. Il pomo d’Adamo, sporgente e ricoperto da peli disubbidienti, andò su e giù: — Ehh la tu… tucsia, è, esattamente, vediamo, un famoso frutto che, come tutti sanno, è coltivato in Nuova Zelanda e poi esportato nel mondo.
Qualche secondo di silenzio, una piccola goccia di sudore scese dalla fronte verso il collo del prof e l’intera classe scoppiò in un fragore di risate.
Infatti tutti sanno, tranne il prof, e forse un certo Luka, che la tucksja non esiste.

#sese20righe_tucksja

Intervista all'autore Dario Zizzo


1 Parlaci di te in duemila battute.
Sono un tipo emotivo, per esempio anche ora sono emozionato, non mi capita solo dal vivo, ma anche di fronte alle domande scritte; ora sto sudando per la tensione, meno male che è un'intervista scritta e non si vede e sente niente, non è un bello spettacolo; un secondo ché vado a cambiare la camicia… Allora, dove eravamo rimasti? Posso considerarmi un attivo lettore, i miei scrittori preferiti sono Tondelli e Fitzgerald; tra le mie opere due racconti pubblicati nelle antologie "Vacanze e altri disastri" e "Senza tema" degli Autori Solidali (ex Cazzeggio Solidale) e uno in "Dentro una bolla-Adolescenza" del Gruppo FB Sognalibro; il ricavato di queste tre raccolte va in beneficenza; il mio primo e ultimo romanzo, almeno così si spera (c'è anche una petizione, "Sequestriamo le penne a Dario Zizzo, e anche il computer") è "Rivoglio i Matia, con Antonella Ruggiero".

2 Riassumi il tuo romanzo in duecento battute.
È una lettera scritta dall' aspirante scrittore Agilulfo alla sua ex, Arianna, alla vigilia della pandemia dal paese ideale di Terrasicca, in Sicilia; la missiva diventa l'occasione, ormai vicino ai cinquant'anni, per guardarsi dentro, guardare dietro, specialmente a quand'era un ragazzo, negli anni Ottanta: "Se dovessi definire quegli anni, gli Ottanta, direi che furono anni colorati come Boy George, come gli Swatch, psichedelici, di luci psichedeliche, furono una selva di flash sparati contro gli occhi, forse delle monete d’oro false brave a trarci in inganno…". Ma chi è realmente Agilulfo?

3 Dove scrivi?
Dove capita, principalmente sul divano, tanto è vero che sto pensando a una sponsorizzazione di poltronesofà.

4 Cosa hai intorno, sulla tua scrivania (o nel luogo dove scrivi)?
Intorno ho sempre il mio nipotino, Ernestino, è molto affezionato, è un bambino prodigio, ha il superpotere di moltiplicare i soldi, i suoi, da grande diventerà un mago della finanza; chi mi conosce sa di cosa sto parlando.

5 Preferisci scrivere di giorno o di notte?
Preferisco scrivere di giorno e leggere di notte, un po' per uno, non fa male a nessuno.

6 Utilizzi l’ausilio della musica o hai bisogno di silenzio?
Qualche volta ascolto la musica, può essere fonte d'ispirazione, stravedo per i Baustelle.

7 Come ti è venuto in mente il titolo del tuo romanzo? Lo hai scelto tu o la tua CE?
L'ho scelto io. Volevo un titolo eccentrico, come il romanzo; cosa c'entrano i Matia Bazar? Non chiedetelo a me perché non lo so, per non spoilerare non ho letto il finale; se l'avessi fatto, di sicuro mi sarebbe scappato dalla bocca; anzi dovrei chiedere a qualche lettore come finisce la storia, perché se qualcuno me lo domandasse, nemmeno saprei dirglielo.

8 Cosa pensi dei gruppi di scrittori sui social?
Tutto il bene possibile, quasi sempre ci si confronta, consiglia, sostiene, nascono non di rado delle vere e proprie amicizie; c'è tanto amore spesso nel lavoro di questi autori, tanto sacrificio, e vi sono anche alcune opere che non hanno nulla da invidiare a quelle di scrittori affermati.

9 Preferisci scrivere a mano su un taccuino o fai le stesure già sul pc?
La seconda, perché, prendendo appunti, mi sembrerebbe di copiare da un altro, se mi si presenta l'ispirazione, che so, mentre sto mangiando un'arancina, io mi obbligo a non prendere appunti, perché devo ricordare quanto è frutto di questa mia ispirazione (forse si tratta di un discorso un po' contorto) e poi mi scoccerebbe lasciare l'arancina da sola, ché poi magari quella s'arrabbia e mi diventa un arancino.

10 Titolo del prossimo romanzo?
"Il titolo inesistente", perché non ci sarà un prossimo romanzo, nel mio caso seguo alla lettera quanto detto da un famoso scrittore di cui mi sfugge ricordo il nome: "Nella penna di ogni scrittore c'è solo un romanzo".

11 Di solito quante sono le revisioni del tuo romanzo?
Innumerevoli e devo dire che non mi sono mai stancato, perché questo romanzo mi piace e io piaccio al romanzo, un giorno o l'altro ci sposeremo e genereremo tanti piccoli racconti.

12 Utilizzi alfa / beta reader?
Nel mio romanzo no, quando l'ho scritto ero un novellino e non conoscevo colleghi che potessero aiutarmi.

13 Come pubblicizzi le tue opere?
Perlopiù attraverso i social.

14 Se hai sentito parlare dell’intelligenza artificiale che crea contenuti, tra i quali anche storie, cosa ne pensi?
Io oppongo fieramente all'intelligenza artificiale la mia demenza naturale, spero possa essere la carta vincente.

15 Hai mai pensato a come potrebbe essere il tuo lettore / lettrice?
Disperato/a; non so quali nefandezze abbia compiuto per meritare questo supplizio.

16 Vorresti vivere di scrittura o hai altre passioni?
Nella mia immensa demenza ho solo un barlume d'intelligenza che mi permette di comprendere una cosa: non potrò mai vivere di scrittura dal punto di vista materiale, anche se vivo di scrittura da quello spirituale; questa me l'appunto e la riciclo per un'altra intervista; ma no! avevo dimenticato che non prendo mai appunti.

Sette personaggi in cerca del loro peggio - I vizi capitali in 20 righe


Aira sferrò un calcio alla detenuta che aveva osato sputarle addosso. Si pulì la faccia con la manica dell’uniforme sporca e la colpì ancora, sulla tibia, questa volta con il manganello. La fece cadere in ginocchio, si abbassò e le urlò addosso tutta la sua rabbia. Non sopportava che le prigioniere si ribellassero. 
Surbia, in particolare, le faceva perdere il cervello, con quelle sue arie altezzose. Ogni volta che doveva entrare nella sua cella, lei era lì, quasi a giudicarla, indossando un insolente sorrisetto.

Acci, lo sbirro di pattuglia nei corridoi, si fermò a guardare: si accarezzò la nuca popolata da quattro peli sudici e, strisciando i piedi, si diresse verso la Direzione, per denunciare l’accaduto, senza preoccuparsi della donna dolorante, a terra. Bussò con la nocca, aprì la porta di qualche centimetro e una nuova scena sembrò voler scardinare la sua indolenza mattutina.

Gala, la direttrice, con la bocca spalancata, stava ingurgitando una enorme fetta di torta, la scrivania piena di dolci e coca cola, mentre il vice, Indivio, in piedi al suo fianco, la osservava con le braccia conserte.

Acci, nonostante la sua pigrizia, riuscì a elaborare un piccolo pensiero: Indivio sta sperando che Gala, la Gran Cicciona, come la chiama di nascosto, schiatti, per poter prendere il suo posto. Tutti i giorni arriva al lavoro carico di dolci e roba fritta. Lei crede che sia innamorato e mangia, mangia da fare schifo.

In quel preciso istante, un uomo mezzo svestito, piccolo e osceno, venne sbattuto nell’ufficio da una poderosa spinta: “Lo abbiamo beccato a toccarsi, davanti a una ragazzina!” Urlò il brigadiere Benna Varizio

“Si chiama Lussu Domenico, il porco. Spero che questo lavoro extra mi verrà ricompensato, c’è una taglia sul maiale, e, se non ci fosse stata, col cavolo che mi sarei dato la pena di portarlo qui.” Concluse Benna Varizio. Le sue mani, strisciando come vermi, raggiunsero le tasche e fecero tintinnare i pochi, deliziosi, freschi spiccioli.

#sese20righe_vizicapitali

Ladra di mamme in uscita: un patto tra lo scrittore e il lettore


Non posso non parlare del mio romanzo che finalmente vede la luce.  Devo dire la verità, sono anni che ci lavoro. Sono partita da una stesura dettata dalle emozioni per poi approdare allo studio della narratologia, fino a  rendermi conto di quante cose ci fossero da migliorare e modificare.

I personaggi sono cambiati, la protagonista ha imparato a fare il suo arco di trasformazione, gli episodi realmente accaduti hanno lasciato il posto alla fantasia. E un libro che era quasi un'autobiografia, si è trasformato in un romanzo, in cui, come si dice, persone e fatti sono solo frutto della fantasia dell'autore. E non è un modo per assicurarmi che nessuno si senta rappresentato, è proprio così. La mia storia è tutta un'altra storia e sono felice che la piccola Elenia abbia preso la sua strada e abbia fatto il suo corso. 

Dopotutto la protagonista è una scrittrice affermata, e non mi sembra che sia il mio caso...

Farò un post apposito con i ringraziamenti perché il naso, in questo libro, ce lo hanno messo in molti e io mi sono sentita, durante tutto il percorso, accudita e abbracciata da tante anime buone e volenterose. 

Nella vita siamo in costante rapporto con situazioni difficili, persone che ci fanno soffrire, momenti da dimenticare. Invece in questo magico, e dico proprio magico, mondo della scrittura, accadono cose incredibili e la mia stima per l'umanità, di solito piuttosto rasoterra, sale.

Quindi, tutti voi che mi avete incoraggiata e sostenuta avrete per sempre un posto nel mio cuore che saltella felice per questo traguardo raggiunto.

Non so che effetto vi farà leggere questo romanzo, io spero che possa aiutare qualcuno a credere in se stesso, a superare qualche brutto ostacolo, a credere nella vita che, anche se ci butta a terra, fa sempre spuntare dalla nebbia una mano che ci tira su. 

In origine il titolo era: "Il passaggio degli angeli" perché, per vie misteriose, io sono convinta che dalle pagine dei libri escano cose magnifiche, tipo angeli con le alucce, come i bei colori che vede Elenia, quando le cose vanno abbastanza bene. E quando lei è proprio contenta, esce il suo colore preferito: uovo di pettirosso. 

Dovete sapere che quando ha deciso che questo era il suo colore, non sapeva che Tiffany se ne era appropriato prima di lei, ma il tempo, nella letteratura, non ha molto senso, quindi a Elenia di sicuro piace pensare che il colore uovo di pettirosso sia una sua originalissima invenzione. 

E voi, cari lettori, abbozzate, fate finta che sia così, perché, quando si legge bisogna fare un patto con l'autore e, se questo autore è bravo, il patto vi porterà d'un fiato fino alla parole FINE.



 

DESTINI INCROCIATI di Sabrina Mills - recensione del romanzo


Ho appena finito di leggere il libro della mia compagna di sventure (ma questa è un'altra storia feisbucchiana) Sabrina Mills.

Sabrina ha una scrittura frizzante, veloce, senza arzigogoli, quindi moderna e facilmente fruibile, il libro, abbastanza breve, potrebbe rischiare di essere un susseguirsi di dolori e tragedie, considerato l’argomento, invece stupisce: a me sono balzati in primo piano i colori, i profumi, l’allegria di due personaggi che si incontrano, o meglio, si incrociano, scoprendo quanto il proprio dolore possa essere quello dell’altro e quanto, mischiandolo con ingredienti come l’amore, la compassione, l’accoglienza, si possa trasformare in gioia e persino serenità.

Le scene che si svolgono a Barcellona sono fresche e gioiose, sembra di essere con loro in quella città solare che “libera” i personaggi dai loro fardelli, regala loro una vita possibile, perché da qualche parte una vita possibile ci deve essere per tutti.



Mi ha colpita il tema di questo romanzo, non molto comune e interessante, c’è sempre qualche cosa da scoprire e da imparare, un cammino verso il rispetto di se stessi e degli altri.

Questo libro l'ho acquistato in formato e-book su Amazon, Sabrina ha anche un bellissimo blog dal titolo:

"Le ultime dal blog"

https://www.sabrinamills.it

Piccole, liquide gioie


Quando il sole è così potente e il caldo si fa sentire, il mare è l’unico desiderio che mi viene. Indosso la maschera e mi avvicino con rispetto.

Lo scoglio bollente mi convince a pucciare i piedi in quella freschezza deliziosa, attenta a non inciampare in un aculeo di qualche riccio.

Non vedo l’ora di mettere la faccia lì sotto, per abbracciare la liquidità dell’azzurro, attraversata da fasci di luce chiara.

Poco alla volta mi immergo, un piccolo brivido alla menta mi fa sgusciare come una sardina.

Batto i piedi, mi faccio largo con le braccia, avanzo verso il moletto, dove so che mi aspettano tante creature scintillanti: ecco le salpe, le occhiate, le aguglie appuntite, le ombrine, le piccole castagnole blu, le donzelle arcobaleno e i saraghi.

Le acciughe arrivano in banchi compatti, io nuoto piano e mi infilo tra loro, mi immagino argentea e sottile, con le pinnette veloci, sorella di quei pesciolini agili e leggeri. Gioco a rincorrerle, loro si spaventano, si diradano, si riuniscono.

Arrivo al molo, lo supero con ampie bracciate, tiro fuori la testa, per abbracciare il paesaggio.

La spiaggia di ciappe, lisciate dal mare, si presenta contornata dai pini marittimi, il profumo punge anche da lontano.

La pericolosa scaletta, dall’Aurelia, si srotola in picchiata, verso il blu.

Oggi il mare è calmo, trasparente, Nettuno è sereno e il luccicare di quelle onde, laggiù, mi fa intravvedere una sirena, o forse è solo una piccola onda che si fa schiuma.

Mi sdraio con gli occhi chiusi verso il cielo, muovo piano le mani come remi.

Il calore si scontra con le correnti più fredde, una medusa violetta dall’aspetto etereo danza, mettendo in mostra i suoi tentacoli trasparenti.

Quanta bellezza in questo mare, la parola giusta è proprio bellezza, che mi regala anche una stella marina di un rosso profondo, quasi nascosta tra gli scogli.

Riemergo, grata per l’esperienza che solo l’estate mediterranea sa offrire.


Contest su FB: #sese20righe_estate

AMOR ROMA - recensione del romanzo di Eliana Calabria

Finalmente ho letto un romanzo di attualità che parla di sentimenti e di una famiglia normale, come potrebbe essere la nostra, con problemi quotidiani che tutti dobbiamo affrontare: le relazioni, le paure, le malattie, il passato. 

Eliana Calabria, l’autrice di “Amor Roma”, Argento Vivo Edizioni, è davvero stata brava a regalare al lettore una scrittura semplice e pulita (grande pregio), entrando nella psicologia di tutti i componenti della famiglia, in particolare della protagonista, Anna, che, raggiunto il periodo della maturità, si mette in discussione, o forse in gioco e, da personaggio stanco della sua poco interessante esistenza, mossa da una manciata di lettere intriganti di cui viene in possesso apparentemente per caso, diventa protagonista attiva, con tutte le contraddizioni, le paure e le fatiche di una persona vera: Anna inizia a fare scelte e a dirigere la sua vita, nel bene e nel male.

Roma fa da magnifico sfondo agli spostamenti di Anna, brillante agente immobiliare, madre di Ilaria che soffre delle tipiche patologie adolescenziali, moglie di Giorgio, un marito attraente, forse un po’ troppo distratto.
Interessante la figura della madre, Dénise che, con un certo cinismo da ex attrice consumata dice alla figlia: "Ricordati che non esiste matrimonio senza corna". Infatti ne sa qualcosa Dénise, perché il marito, Pino, solitario signore amante del buon vino e della musica, ha avuto le sue belle distrazioni, ad un certo punto della loro vita.
E a mettere il coltello nella piaga della tranquilla famigliola, interviene una giornalista, Francesca, ben determinata a raggiungere il suo scopo.
Le carte si mescolano, gli animi si alterano, Anna si distrae e si inquieta. Un vecchio appartamento svela i suoi segreti, i componenti della famiglia vengono attraversati da un terremoto, l’arco di trasformazione dei personaggi fa il suo corso, e io non vedevo l’ora di sapere come sarebbe andata a finire.
Terminato di notte, invece di dormire…
Bellissima la scelta della copertina: un quadro di Hopper in cui una donna, avvolta e abbattuta dalla luce della sua stessa solitudine, legge una lettera.

La Vita dopo l’Inferno: a scuola di Arcangeli

Micky, mettiti vicino a me, sulla goccia di cristallo, fortuna che la tipa non ha la plafoniera. Sapessi che casino appostarti tra il soffitto e il vetro. Dobbiamo avere la visuale, hai presente un drone? Dunque, ora modifico la suoneria alla sveglia, un notturno di Chopin, vedrai come le miglioreranno le cose!

— Guardala Gabry, sta sorridendo! Mette i piedi per terra, come se li appoggiasse su una nuvola!

— Infatti ho già sostituito il tappeto. Vedi Micky, gli umani non capiscono niente, ma adesso, per la tipa, è giunto il momento di vi-ve-re: accoglienza del marito con caffè fumante, figli pronti sul divano, cellulari spariti, puf!

— La tipa si deve preparare senza il solito stress infernale, osserva come faccio: specchio eliminarughe, vestiti puliti sulla poltrona. Attenzione: i suoi capelli devono risultare folti e splendenti. E non scordare le chiavi dell’auto. Non de-vo-no sta-re nel-la bor-sa! Se no si innervosisce. Le chiavi devono com-pa-ri-re ac-can-to alla borsa, ok?

— Prendo appunti. Ma, fammi capire? Prima, la tipa, dov’era?

— Cribbio, tutti gli imbranati a me! La tipa prima era all’In-fer-no! Gli umani credono che quello che noi chiamiamo inferno sia la loro vera vita. Mentre la vita reale viene DO-PO l’inferno ok? Ti faccio un ripasso veloce per il tuo esame: i tipi, quando nascono, stanno all’inferno: suonerie terribili, tappeti ruvidi, chiavi che si perdono… e poi, quando muoiono, loro chiamano così il Passaggio, inizia la Ve-ra Vi-ta, quella in cui ci siamo noi arcangeli ad aiutarli. 

E, importante, non c’è un mo-ti-vo, nessuna mo-ra-le, niente D-I-O! Tutto a caso. Capito zuccone?

— Ci sai fare, Gabry, che armonia. Il cagnolino ha il cibo nella ciotola ed è già pisciato. E la rosa sul tavolo, vicino al cucchiaino di lei, vera classe. Sarai un tutor fantastico per il mio stage.

Mie per sempre - recensione del romanzo di Gianluca Zanoni

Ecco il libro di uno scrittore che ho conosciuto in un gruppo di appassionati scrittori e lettori. Il suo nome è Gianluca Zanoni

Perché l'ho letto? 

Perché il suo modo di scrivere mi incuriosiva e i suoi raccontini da 20 righe sono sempre curati e ragionati. 

Il suo romanzo si intitola: "Mie per sempre". Intanto devo dire che è un libro scritto bene, con una struttura interessante. Io chiamo questo tipo di libri: quelli comprati. Cioè, quando faccio leggere a qualcuno la bozza del mio chiedo: ti sembra un libro? Un libro comprato? 

Ecco, quello di Gianluca Zanoni, edito dalla CE  Passerino Editore, sembra un libro comprato e si legge volentieri. 

Un giovane di bell'aspetto, intelligente, profondo, educato e simpatico, un po' meticoloso, fissato con i particolari, ha solo un piccolo problema: l'ossessione di bloccare l'apice di ogni rapporto che ha con le sue donne in un'immagine sublime, in un momento in cui loro, ma anche lui, lo percepiscono nel massimo delle sue potenzialità e del suo splendore. Per immortalare il momento, l'unica soluzione che trova è quella di ucciderle, in maniera gentile, ci mancherebbe, infatti in lui nulla sembra fuori posto o eccessivo. Finché non conosce una ragazza con cui non ha un rapporto amoroso, ma di grande amicizia e finché non torna alla ribalta il suo primo, vero amore, con cui ha molte cose in comune... 

È un libro corposo ma si legge velocemente, è aggraziato, arricchito da belle descrizioni di piatti e bevande che tanto apprezza il protagonista. 

Il tempo durante la narrazione va avanti e indietro con disinvoltura, a me è piaciuta anche l'impaginazione su e-book, con i titoli dei capitoli molto grandi, che aiutano a porre l'attenzione sugli anni a cui si riferisce il capitolo. Riflessivo, con dialoghi in cui i protagonisti si analizzano, si raccontano e si svelano. Un giallo intimista?  Per me è promosso. 
👍


Gianluca, in arte Luka, ha anche un Blog interessante, andate a dare un'occhiata: 

"L'angolo dello scrittore" 

Lia e la sua croce



Racconto breve #sese20righe_ceraunavolta

Questo è un raccontino in cui ho cercato di inserire alcuni temi della fiaba, innestandoli in un contesto moderno. Quindi troviamo la protagonista che ha un potere conferitole da un oggetto magico, regalato dalla madrina, poi c'è la matrigna che la maltratta, un piccolo arco di trasformazione dovuto alla sua ribellione, un paio di antagonisti cattivi e il finale... l'ho lasciato aperto e ho mischiato le carte in tavola.

C’era una volta, in un paesino lontano, una ragazza che tutti si giravano a guardare, perché aveva i capelli blu, dritti come aghi puntati al cielo.
Una mattina si presentò in cucina con una piccola croce d’oro attaccata all’orecchio, regalo della madrina.
La sua matrigna, vedendo la figliastra così conciata, si infuriò: «Lia, la croce va al collo, se no porta sfortuna alla famiglia!» e le lanciò l’accendino in faccia.
«Se mi fai andare a Milano al concerto dei Sex Pistols me la tolgo, promesso.» La giovane incrociò le dita dietro la schiena.
«Non se ne parla, idiota, piuttosto, lava i vetri!»
Lia, invece, si procurò il biglietto e, la sera del concerto, prese il treno. Alla terza fermata entrò un tipo, munito di vodka, metà della quale già scolata: «Ehi bella, ci divertiamo?» E le spense la sigaretta sulla scollatura.
Lia, svelta, sfregò tra due dita la croce agganciata all’orecchio. Il bullo sentì una folata d’aria gelida, guardò giù e vide i suoi vestiti per terra, gli erano rimaste addosso solo le sue mutande lerce. Lui fuggì a gambe levate e Lia acchiappò il braccialetto borchiato.
Al concerto la giovane si piazzò in prima fila, i gomiti bene aperti sulle transenne d’acciaio, per tenere la posizione. Quando Rotten si mise a urlare nel microfono: «Noo fiutur for yuu!» un rivolo di sangue cadde sul petto candido di Lia, centrando la bruciatura.
Lei impugnò il bracciale appuntito e si girò con lentezza: una ragazza dal rossetto nero teneva in alto, come un trofeo, la sua croce. Lia la colpì in faccia. Le labbra nere si tinsero di un bel rosso vermiglio. E la croce, in un lampo azzurrino, tornò a Lia.
Per festeggiare strappò una birra dalle mani del vicino. Un lungo sorso e, con un maligno brivido di gioia, lanciò la bottiglia sul palco, che finì per centrare il basso di Sid Vicious.
Euforica, si mise a pogare con la croce in mano, ferendosi pure il palmo: ma le note distorte la rendevano insensibile.
Non sentì neanche lo sparo, che raggiunse il suo cuore.
La croce cadde a terra tra la polvere insanguinata e fu ritrovata molti, molti anni dopo, ma questa è un’altra storia e te la racconterò domani.

foto dal web rielaborata.   

Panopticon - recensione del romanzo di Marcella Garau

 

L’incipit bucolico porta il lettore in una terra magnifica, ricca di doni della terra che fa pensare alla Sardegna. Sembra di essere immersi in un piacevole racconto ambientato nel passato, ma presto la cruda modernità emerge, come un incubo inquinante, che travolge la natura e gli uomini.

Il lettore viene trasportato tra la vita agreste e semplice di Maria Zirogna, in cui vorrebbe immergersi per dimenticare tutto, (Maria Zirogna, mi faresti assaggiare uno dei tuoi arrosti al mirto?) e la freddezza del centro del paese, quasi congelato intorno a una moderna piazza allucinante, ispirata a un progetto per detenuti, in cui al centro un guardiano dovrebbe poter controllare tutte le celle sistemate nella circonferenza: il panopticon, appunto. E qui la narrazione sembra suggerire una specie di Grande Fratello che tutto vede e che tutto sa, impedendo agli abitanti di Borgonovo, ricostruito dopo una tremenda alluvione, di incontrarsi, di scambiare idee, timori, esperienze.
L’ambiente devastato dall’uomo è al centro del romanzo che presto sfocia nella drammatica realtà dei problemi causati dall’uranio impoverito.

La scrittrice evita polemiche, ma, come deve fare un abile narratore, mette in moto la mente del lettore che inizia a collegare le suggestioni del libro a certe realtà ben note.
Il libro è molto curato, la scrittura scorre piacevole, la struttura è chiara e i personaggi ben delineati. E, soprattutto, alla fine, senza spoilerare, si apre un filo di speranza per la nostra stupida umanità, in cui, se si è fortunati, si può incontrare una Maria Zirogna.

Questo libro l'ho acquistato su Amazon. L'autrice, Marcella Garau, ha anche scritto un manuale: "Prontuario dello scrittore" che ho letto, ovviamente, in quanto interessata. Lei è una editor e consulente editoriale che coordina, insieme ad altri colleghi, un vivace e disordinato gruppo di scrittori su FB, è qui che l'ho conosciuta e vi giuro che, con questa recensione, mi sono guadagnata un invito per un arrosto al mirto su un famoso "scoglio" sardo. Riuscirò a raggiungerlo? Forse a nuoto.

E, se volete sapere qualche cosa di più su questo arrosto al mirto, leggete il romanzo. 


Le mani - racconto in 20 righe - vincitore del contest - tema: funerale


Con viva e vibrante soddisfazione pubblico il mio racconto breve che ha vinto il contest su FB. È la seconda volta che mi premiano e questo mi riempie di gioia perché in questo gruppo ci sono penne raffinate e scrittori che meritano ben più di me la vittoria. Il tema non è dei più allegri, e il fatto che abbia vinto proprio su questo, non so se sia una cosa positiva, ma spero di regalare un po' di emozione anche a chi lo leggerà. Come sempre si tratta di invenzione.

Tu giochi a fare l’estetista Pulcetta. Le mie unghie stanche disubbidiscono alle tue manine, che cercano di smaltarle.
Ma il mio cuore è sotto casa, sulla strada. Dove tutto è silenzio, perché sta passando il carro funebre. Le persone dietro, a piedi, le immagino vestite di nero, con lo sguardo verso le loro mani giunte, sul grembo. Non riescono a guardare la bara di legno chiaro.
— Vieni qui Pulcetta, vieni dalla nonna, non ti affacciare alla finestra, perché oggi piove e il tempo è grigio. Là fuori ci può essere il lupo cattivo. Metti lo smalto rosso, così questa sera sarò bella per tuo nonno, quando torna.
— E papi? Dov’è papi?
Potessi rispondere la verità, Pulcetta, ma la verità non è fatta per te. Ti copriremo con un mare di menzogne, sarai sola in mezzo alla vita, che andrà avanti e ti dovrai arrangiare, perché io non ci sarò per sempre a proteggerti. Sei una donna, dopotutto, e noi donne non siamo fatte per resistere? Vedi, anche ora che sono spezzata dal più grande dei dolori, sono qui, a giocare all’estetista, mentre di sotto sfila la morte.
— Papi è andato a prendere le sigarette, col nonno, magari si fermano un po’ al bar, stai tranquilla.
Torneranno, sì, dopo aver gettato una zolla di terra sulla bara di legno chiaro.
Il rumore del coperchio, quando l’hanno chiusa… quei chiodi sono scesi dritti nel mio petto, con uno stridio di trapano.
— Nonna, perché tremi?
Io non tremo Pulcetta, sono le mani che vanno per conto loro e cosa ti possono raccontare le mani? Loro vogliono dire la verità, ma io le stritolo, perché devono tacere.
— Adesso mi metti la crema profumata alla rosa e vedrai che non tremeranno più.
Mia figlia, tua madre, è di sotto, sdraiata nella sua stretta casina di legno, non può nemmeno alzare la mano per salutarci l’ultima volta. E le mie mani tremeranno per sempre.
#sese20righe_partecipareaunfunerale
Questo pezzo l'ho "preso" dal mio romanzo: "Ladra di mamme", cambiando pov e modificando i protagonisti. Il funerale della madre, a cui la figlia non partecipa, perché non consapevole di ciò che è accaduto, mi sembra un momento intenso e pieno di significato, su cui ragionare per estrarre le sensazioni delle persone coinvolte.

Foto G.B.

Io, personaggio narrato in terza persona - raccontino su ordinazione


Codàrdia. Il marito la chiamava così. Ormai aveva terminato il suo primo romanzo e il lavorio per prepararsi alla pubblicazione sembrava eterno. Ogni scusa era buona per rimandare.
Ma cosa si era messa in testa quella pazza? Si era messa in testa di scrivere un romanzo tutto suo, intenso come quelli che le avevano tenuto compagnia fin da piccola. Curato, pieno di particolari, con tante avventure.
Ma il tempo? Dove trovare il tempo?
Per un caso fortunato vinse un tablet, non di quelli cari, ma abbastanza decente da permetterle di scrivere dovunque. E così, l’aggeggio, nero fiammante, divenne parte integrante della sua borsa. Mentre i figli nuotavano come papere in piscina, seguivano con scarsi risultati il corso di pianoforte, si lanciavano goffi in battaglie corpo a corpo di karate, lei scriveva.
Un capitoletto dopo l’altro, sembrava che le parole sgusciassero dal nulla.
E sorrideva. Rileggeva, correggeva e, ancora una volta, sorrideva.
Ma come aveva fatto a non pensarci prima? Scrivere il suo romanzo era esaltante, le noiose ore dei corsi dei figli si erano trasformate in pura gioia.
Non vedeva l’ora di avere anche una sola ora tutta per sé. Una volta consegnati i rampolli all’insegnante di turno, si metteva in un angolino tranquillo, spegneva il cellulare, e iniziava a scrivere.
Di notte si svegliava di soprassalto e, accendendo la torcia del telefono per non disturbare il marito, buttava sul piccolo notes che teneva sul comodino frasi che le sembravano epiche tipo:
“scrivere significa tenere sotto controllo passato, presente e futuro, non necessariamente il tuo.”
Salvo poi cestinarle al mattino. Finché decise di inviare il suo prezioso lavoro a una editor. Attese la scheda tecnica per settimane, e, quando arrivò, capì che quello sarebbe stato solo l’inizio di un lungo percorso di consapevolezza: il romanzo era tutto da rifare.
Ma non si diede per vinta. Si mise a studiare, a provare altre strade, ad ascoltare lezioni di narratologia, a stampare consigli e a raccogliere informazioni.
Un nuovo, meraviglioso mondo, le si svelò: non era ciò che aveva immaginato, no, ma in quell’universo complicato, difficile, pieno di insidie, conobbe alcune persone con la sua stessa passione, con cui iniziò a confrontarsi, cercando il meglio nella propria scrittura e in quella degli altri. Tra tanti lupi c’erano anche persone per bene, con cui godere insieme della scrittura e della lettura.
Con impegno terminò il suo libro, divenne beta reader e cercò di restituire agli altri ciò che aveva ricevuto a piene mani: la gioia di poter essere parte del mondo dei libri,
non importa se come scrittrice o come lettrice,
in fondo capì che si trattava di una cosa sola,
che la pagina già scritta o ancora da scrivere
è un dono immenso
che solo pochi privilegiati possono ricevere.
E lei era una di quelli, anche se, ancora per un po’,
si sarebbe chiamata Codàrdia.

#seseiopersonaggio - FB - a cura di Lucia Codato

Ilaria del Carretto - racconto breve di Cecilia Zonta

Mi piace condividere sul blog anche i racconti di altri scrittori, quelli che mi hanno colpita e che ritengo meritevoli. Cecilia per me è bravissima, specializzata in racconti gialli a sfondo psicologico, nella suggestiva cornice del pavese, con il Ticino che scorre lento, nebbioso e che sa tante cose...


In questo caso Cecilia si ispira liberamente alla vicenda di Ilaria del Carretto, ricordiamo tutti lo stupendo e famosissimo monumento funebre a lei dedicato, di Jacopo della Quercia, che si può ammirare nella cattedrale di Lucca.

Bisogna leggere attentamente il breve testo per comprendere il significato di questo racconto che esprime una delle caratteristiche della scrittura di Cecilia: non sempre la verità è come sembra.

***
Avvicino il naso alla tua fronte: non sprigioni ancora odore di morte, amore mio. Non durerà a lungo. Il pianto di Ilaria minor dalle stanze del castello è talmente acuto da convincermi che anche lei, a soli due giorni di vita, partecipa al dolore della Signoria.
Tutti da questa mattina mi fanno la stessa domanda: come è possibile che una vita che nasce porti con sé la morte?
Sai, alle volte le persone si concentrano su dettagli sbagliati. La vita, la morte – che sia di parto o a causa di un veleno – non sono poi così importanti. Che cosa sono ventisei anni, o trenta, cinquanta, rispetto all’eternità? Rispetto al nostro fugace passaggio quaggiù, conta molto, molto di più l’Amore. A me è bastato un giorno per innamorarmi di te: quando sei scesa a Lucca il giorno prima delle nostre nozze, mi è bastato avvicinare le labbra alla tua mano, ancora impregnata, nonostante il viaggio, dell’odore di salsedine della tua Liguria, per capire che il nostro non sarebbe mai stato un matrimonio di convenienza, mia dolce Ilaria. Le tue labbra sottili, gli occhi pregni di attenzione, la pelle liscia e bianca come marmo creavano un’armonia che rasentava la perfezione. Pochi mesi dopo, di ritorno dal nostro meraviglioso viaggio di nozze, è nato Ladislao. E in breve eri di nuovo in attesa. Ed è stato allora, nel vedere il tuo corpo di giovanetta arrendersi di nuovo alla violenza trasformatrice della natura, che ho capito. Ho capito che nulla resta uguale a se stesso e che persino tu, mia bellissima Ilaria, avresti subito i capricci beffardi del tempo sul tuo viso perfetto, così come l’attesa faceva sul tuo corpo. E ho pensato a cosa avrei potuto fare per negarti questa offesa, ben più crudele della morte.

C’è questo scultore qui a Lucca, Jacopo Della Quercia, di cui tutti esaltano le doti. Sarà suo il compito di fissarti per sempre nel marmo, mia dolce Ilaria, nell’eternità della tua leggiadra gioventù. Così ti ricorderanno tra cinque, sei, otto e più secoli e così tutti si emozioneranno di stupore, pietà e ammirazione. Questo, amore mio, è il mio regalo per te.

Strada - racconto breve


— Ceci, per qualche giorno non risponderò al cellulare.

— Fammi indovinare: parti con tuo papà per il gran tour!

— Ieri è arrivata la sua nuova Vespa bianca. Vuole portarmi a Portovenere, dove ha conosciuto mia mamma. Niente autostrada, solo Aurelia.

— Tenero, ma quanto ci vorrà da Diano a Portovenere?

— Boh, è da quando è andato in pensione che ha sta fissa. Lo devo accontentare, mi ha pure vietato di portare il telefono, dice che dobbiamo immergerci in questo viaggio, solo noi due.

Partirono alle nove di mattina, sotto un dolce sole primaverile. Prima tappa: Genova.

L’Aurelia era ancora sgombra dai turisti inciabattati pronti per la spiaggia, solo i semafori interrompevano il costante gorgoglio del motore.

Eli non era abituata a quel tipo di moto, con gli amici andava in scooter e lì c’erano le maniglie ai lati, per attaccarsi. Titubante, mise le mani sui fianchi del papà. Quel contatto la tranquillizzò e la tenne occupata ad analizzare le sue sensazioni fino a Genova, dove lui aveva prenotato una pensioncina vicino al mare.

Per cena la portò in un’antica trattoria dove si serviva solo farinata. Trovarsi faccia a faccia con il papà era strano. Lui la guardava negli occhi solo quando tra loro c’era una spessa cortina di fumo di sigaretta. Poche le parole, solo gesti necessari.

La mattina l’asfalto tiepido, il mare luccicante, l’aria fresca sul viso accompagnarono la pausa caffè, in cui pucciarono l’unta focaccia ligure.

Quello strano tuffo nell’inconsistenza del tempo e dello spazio fecero pensare a Eli che, dopotutto, suo papà non era così male.

A Portovenere giunsero accompagnati da un forte vento di mare. Lui la portò sullo scoglio della mamma, e, uno accanto all’altro, guardarono a lungo l’orizzonte increspato, senza sfiorarsi, mentre i loro pensieri volavano via.

#sese20righe_strada - contest su FB

Un legame invisibile - romanzo di Greta Mercadante - recensione

Ho conosciuto Greta Mercadante sul web, non ci siamo mai viste di persona. Le magie della modernità. Però ci siamo capite velocemente e abbiamo iniziato a confrontarci, specialmente nell'ambito della narratologia.

Lei stava scrivendo un libro, io pure. Lei è stata velocissima, io meno.

Lei lo ha già pubblicato, io no.

Ammiro la sua capacità di risolvere i problemi, il suo entusiasmo, l'essere artista. Me la immagino come una persona "colorata" e allegra. La gioia di vivere, però, a volte passa attraverso stretti tunnel che, se superati, ti regalano gioie inaspettate.

Ho letto in un soffio il suo bel libro, originale e piacevole, ecco cosa ne penso.

Questo è un romanzo che non sembra una prima opera: è ben costruito, fluido, coerente, contiene un messaggio preciso e la scrittura è originale senza essere fastidiosa.

La scrittrice ha saputo far percorrere alla protagonista una storia di rinascita, di speranza, dedicata alle donne che a un certo punto della loro vita si sentono spezzate dalla fatica di mettere insieme il lavoro, la famiglia e se stesse, ma anche agli uomini che sanno capire, che sanno abbracciare, che imparano a crescere con le proprie compagne, nonostante le difficoltà e le cadute.

Come uscire dal bozzolo che ti tiene stretto, che non fa più per te? Attraverso il dolore, certo, ma anche attraverso una rete di aiuto, come è successo alla protagonista, che nel momento più basso della sua vita ha trovato alcune compagne di viaggio, coordinate in maniera esemplare dall'amministrazione pubblica, che l'hanno aiutata a rialzarsi e si sono fatte aiutare, a loro volta.

L'energia che ha attraversato queste donne, come una luce magica, si trasmette ad altri, in una emblematica pièce teatrale di grande impatto che regala al lettore un'emozione intensa e gli trasmette la forza che regalano la fiducia e la speranza.

Dopotutto i libri a cosa servono se non a consolare?

Molto bella anche la copertina, l'impaginazione e la cura dei particolari che danno una spinta positiva a chi sceglie di leggere opere pubblicate in self.

La buona notizia è che sta vendendo bene e che farà una presentazione pubblica nella sua città. Io la terrei d'occhio. Il suo libro lo trovate su Amazon.

Nuove proteste di Astarotte - Inferno

Correva l’anno 1601 e il 25 gennaio, all’alba di una gelida giornata, il demonio Astarotte si presentò nella dimora dell’esorcista delegato, ai piedi del suo letto: — Reverendo, giudiziariamente, apertamente e personalmente dichiaro di aver diritto e possesso delle terre, delle case e delle anime della valle del Lys, da tempo divenuta zona infernale sotto il mio dominio, quindi protesto formalmente contro di voi Reverendo Esorcista, dicendo di non voler essere scacciato da tal luogo e detti possedimenti.

— Quanti demoni hai teco? L’esile prete sembrava scomparire sotto le coltri pesanti, la faccia pallida sbucava come una luna anemica dal candido lenzuolo di spesso cotone, artigliato dalle punte delle dita.

— Tutta intera la mia legione, 6 mila 6 cento e 66. E giù una scudisciata sul letto con la coda livida.

— Di qual genere d’angeli sei tu? Il prete puntava gli occhi sulla porta serrata, nella speranza che si materializzasse qualche essere divino.

— Del Sesto, detto Sotterraneo. Astarotte si erse sui piedi caprini e alzò il bastone del comando: un serpente rigido come una scopa con la lingua biforcuta protesa verso il soffitto.

— Vade retro, ribelle di Dio! Dov’è il crocefisso, dov’è? Disse disperato il prete, scalciando come un ossesso. Fiamme purpuree uscirono dalle orecchie del satanasso che parlò con voce cavernosa, mentre le sue parole rimbalzavano tra le pareti umide:

— Questa è la mia dimora! E chi non ubbidirà al Supremo, morirà tra le aguzze pareti di queste montagne. Un colpo di coda frustò il letto, il prete sobbalzò e lacrime di disperazione uscirono dai suoi occhi celesti come il manto della madonna.

Astarotte sparì tra le fiamme che consumarono le vecchie travi di legno e pure l’Esorcista.

Attorno alla casa cadde tanta neve e si abbatté una tempesta che oscurò il cielo. Fulmini verdognoli infiammarono i boschi e la croce in cima al Monte Rosa precipitò a valle.

Segni nefasti per la popolazione e sublime vittoria per Astarotte che da quel giorno invia maledizioni ad alpinisti e a sprovveduti avventori.

Questo raccontino trae spunto da un libro di Jacob Christillin, un autore dei primi del Novecento, prefazione di A. Fogazzaro, che raccoglie leggende della valle di Gressoney, donato dall'autore alla Regina Margherita, con tanto di dedica all'inizio del libro. Un gioiellino.

#sese20righe_inferno per contest su FB

foto dal web rielaborata

Il sonno della ragione genera mostri

Le chiavi non entrano nella toppa. La mia mano sembra di gelatina. Frugo nella borsa. Oggetti inutili.
Dov’è il cellulare, così faccio luce in questo buio pesto.
Caspita! Le 5.17, ho fatto tardi con quel bastardo. Sento ancora le sue manacce addosso e i lividi che mi ha lasciato. Sono una vera cretina.
Le chiavi cadono a terra. Mi chino, le dita nervose: avanti e indietro, a destra e a sinistra.
Un rumore mi fa sussultare. Sarà di nuovo lui?
Mi gira la testa, tre spritz e… una birra, forse boh, piccola però.
Eccole! Getto a terra la borsa e con mani tremanti provo a centrare il buco. Se lui mi ha seguita devo rifugiarmi in casa, al più presto. Era completamente ubriaco e fuori controllo.
Una sirena assordante mi estrae dal pericoloso bozzolo di incoscienza e alcol che mi ha guidata fin qui. Manate sulla parete, la luce, un abbaglio. Riesco a bloccare l’urlo dell’allarme, mi sono proprio scordata di averlo attivato.
L’ansia sale, raccolgo la borsa, entro, sbircio fuori, nel buio. Silenzio.
Richiudo la porta di scatto.
Mi spoglio in corridoio, i vestiti decorarono il pavimento con i tristi colori della serata.
Nella doccia faccio scorrere l’acqua bella calda. Il getto fluido e affettuoso mi accoglie senza chiedere niente in cambio. Avvolta nell’accappatoio mi dirigo in camera.
Respiro profondamente per smorzare l’inquietudine. Un altro rumore.
Striscio i piedi sul parquet e torno al portone, attacco l’orecchio. Silenzio. E poi un altro fruscio, come di piante smosse, ma con vigore.
Perché non ho fatto mettere la telecamera? Dovevo dare retta all’elettricista.
Le mani sudano come rane bavose.
Tatami, attizzatoio e mi accoccolo qui, gli occhi sbarrati.
Il freddo si impossessa delle ossa, i rumori continuano. È lui che mi aspetta. Il cellulare pronto sulla chiamata di emergenza.
La paura mi blocca fino all’alba, quando, sfinita, mi decido ad aprire la porta.
Infilo un occhio nella fessura e…
Buon compleanno! Le mie amiche!
Colazione a sorpresa in giardino.
Fuck you!

#sese20righe_inganno contest su FB

Immagine da web: acquaforte di Francisco Goya

El sueño de la razón produce monstruos - rivisitata a colori pop.

Fantasma


I miei sensi, in questi giorni di nebbia e di pioggia, vivono al di fuori di me e fanno proprio cose senza senso.

Udito. I passi, infilati nelle ciabatte e con quel ritmo che solo io conosco, strisciano sui pavimenti di marmo rosa dell’appartamento. O è una mia impressione? Le chiavi nella toppa tintinnano e risuonano di certezze quotidiane. Sono le tue chiavi? Le mie orecchie stanno in allerta, si allungano e si sbagliano, nei suoni della consuetudine.

Vista. La valigetta si è acquattata all’ingresso, la osservo nel suo angolino. Ti sta aspettando per andare al lavoro, come un cane fedele. Dal terrazzo il vento porta il fumo di una pipa davanti al vetro della mia camera. Lo vorrei acchiappare. Sei tu che tiri lunghe boccate? Cerco il binocolo, quello con la cinghia di cuoio che usavi per osservare la montagna, da cui io non vedevo gli stambecchi che ti entusiasmavano.

Olfatto. Il mio naso si tuffa nel cappotto appeso all’attaccapanni, in corridoio: sa di fumo e di treno. Il mio naso non vuole più uscire da qui, ma il Corriere della Sera di due giorni fa puzza ancora di inchiostro e lo attira, come la mosca al miele. I fogli stropicciati, li avevi ripiegati in due: un aeroplanino da far volare via.

Gusto. Il Nebbiolo sta al sicuro, richiuso da un tappo di sughero. La bottiglia è piena a metà, la apro, bevo per sentire il gusto che sentivi tu. Un sorso fiammeggia fin nello stomaco. Io sono te.

Tatto. Nell’armadio, in fondo a tutti i maglioni, c’è quello grigio, di lana spessa, con gli alamari d’argento e i disegni norvegesi. Affondo la mano destra in tutto quel calore e lei piagnucola: — lasciami stare qui al buio, non portarmi via!

Ci vogliono egoismo e coraggio per riprendere le parti di me, quelle che si ostinano a rimanere dentro di te. Devo riportare i miei sensi all’ordine, loro mi devono ubbidire e io voglio lasciarti andare.

Ormai sei un Fantasma, papà, e io sono ancora Vita.

#sese20righe_fantasma - contest su FB