Buon compleanno Libereso, per sempre con noi, amanti delle piante

 

In occasione del compleanno di Libereso Guglielmi, vi propongo un video che ho curato alcuni anni fa: L'uomo che mangia le piante.

Eccolo in una delle tante foto che scattai durante le riprese, tra i suoi Tamarilli che ora si trovano anche nel mio giardino. 

Seguendo il suo insegnamento distribuisco i semi di questa pianta sorprendente, perché anche lui amava "fare rete" e condividere.

Nella mia casetta degli attrezzi conservo ancora le bustine con i semi, su cui lui scriveva a mano i nomi delle piante.

Un uomo eccezionale e incredibile, proprio come il suo giardino, tra le case di Sanremo.

Qui potete trovare una delle sue ricette con i fiori:

Fiori di glicine e mimosa in pastella

Foto GiBi




Intervista con dieci domande all'autrice Greta Mercadante

Greta pubblica in self e cura ogni dettaglio delle sue opere, come piace a me. I suoi romanzi sembrano usciti da una casa editrice e questo è ciò che conta per alzare il livello di chi decide di auto pubblicarsi. Si tratta di un percorso non semplice, specialmente per chi inizia e per questo, quando incontro uno scrittore serio, cerco di farlo conoscere.

Greta Mercadante è nata a Rovigo nel 1977 e risiede da sempre a Cinisello Balsamo (MI). Sposata e madre di due bambini. Le sue prime pubblicazioni per Amazon "Un legame invisibile" e "Il perimetro del cielo" affrontano la problematica, tutta femminile, della perdita del lavoro e della ricerca del sé per reinventarsi in altri ruoli, con una narrazione quasi leggera e a tratti autobiografica.

1 A che punto del tuo percorso di vita ti sei sentita una scrittrice, e quindi hai deciso di pubblicare e perché?
A dire la verità, preferisco identificarmi come una "raccontastorie" piuttosto che una scrittrice. La decisione di pubblicare è stata motivata da un momento cruciale nella mia vita, un'esperienza personale che ha scatenato un'esigenza profonda. Volevo che le protagoniste dei miei romanzi, attraverso le loro storie, potessero offrire sostegno e conforto ad altre donne che affrontano difficoltà simili. Era importante per me creare un legame emotivo con le lettrici, far loro sentire che non erano sole nei loro percorsi di vita.

2 Cosa vorresti dire ai tuoi lettori? Che messaggio vuoi trasmettere?
Bè, sicuramente di scrivere una bella recensione! Scherzi a parte, ho iniziato a scrivere per trasmettere l'importanza di affrontare le sfide della vita con coraggio e determinazione, sapendo che non si è sole e che c'è sempre una luce alla fine del tunnel. Vorrei che le mie lettrici trovassero conforto e ispirazione nelle mie storie.

3 Secondo te possono coesistere i ruoli di essere donna, moglie, lavoratrice, mamma e anche autrice, senza ingolfare ulteriormente la tua vita?
Essere donna, moglie, lavoratrice, mamma e autrice è un compito impegnativo. Dalla mia esperienza personale, ho imparato che ci sarà sempre un ruolo che sembra prevalere sugli altri in determinati momenti, ma è proprio la capacità di bilanciare e adattarsi che ci permette di affrontare tutte le sfide. In fondo, ogni ruolo contribuisce a definire chi siamo e ci permette di esprimere la nostra completezza come individui.

4 Che stile ti caratterizza, cosa si deve aspettare un lettore dai tuoi romanzi?
Una cosa che mi rende orgogliosa e che mi differenzia da altri scrittori emergenti è che utilizzo il "tu" per narrare le storie, lo trovo un modo diverso per coinvolgere il lettore.

5 Quanto ci metti di te stessa nei tuoi personaggi?
Nei miei personaggi riverso molte sfaccettature della mia esperienza emotiva e delle mie riflessioni. Anche se, non smetterò mai di sottolineare che non sono una diretta trasposizione della mia vita.

6 Racconta qualcosa di pazzo che ti è successo nell’ambito della scrittura.
Non ho storie particolarmente folli da raccontare riguardo alla mia esperienza nella scrittura. Tuttavia, c'è un aneddoto che mi ha divertito parecchio. È successo più volte che le persone mi chiedano come faccia a "stare" con Teo, credendo che il personaggio della mia storia sia realmente mio marito.

7 Scrivere ti rende felice? Quale sensazione provi mentre crei una storia?
Scrivere è fonte di realizzazione personale. La sensazione che provo mentre creo una storia è difficile da descrivere a parole e si compone di tante fasi. È un misto di emozione, paura, felicità, trepidazione svuotamento, realizzazione ma anche un senso di responsabilità verso ciò che sto creando.

8 Preferisci scrivere o leggere?
Sono esperienze diverse ma altrettanto preziose. Scrivere mi consente di esplorare la mia creatività, di dare vita a mondi e personaggi e di condividere le mie riflessioni con gli altri. È un atto di espressione personale e di comunicazione che mi porta una profonda gratificazione.
D'altra parte, leggere mi offre l'opportunità di immergermi in mondi creati da altri autori, di esplorare nuove idee e di arricchire il mio bagaglio culturale ed emotivo.

9 Ora sei insegnante, quanto pensi che conti trasmettere il tuo amore per la parola ai tuoi alunni?
Nel mio ruolo di insegnante, ciò che cerco di trasmettere ai miei alunni non è solo l'amore per la parola, ma soprattutto la curiosità. La curiosità è la spinta che li porta ad esplorare, a interrogarsi sul mondo che li circonda e a cercare risposte.

10 Pensi che la scrittura scaturisca da situazioni difficili e dolorose, che sia un modo per esorcizzare la paura? Oppure cosa rappresenta per te la scrittura?
Assolutamente sì e può rappresentare anche una cura, un'opportunità di esplorazione personale, di connessione e di creazione di significato. È uno strumento potente che permette di dare forma alle nostre esperienze e di comprendere e trasformare le emozioni.

Se non li avete già letti, ecco su Amazon dove acquistarli in formato e-book o cartaceo, gratuito su Kindle Unlimited: 

Le madeleines di Proust… ma a Genova

Dentro a quel piccolo rombo, o losanga, come si vuole chiamare, si nasconde un velo di marmellata di fichi e limoni.
Sull’ostia si adagia un marzapane ripieno di sciroppo di zucchero.
Nei canestrelli è intrappolata l’acqua distillata di fiori d’arancio e, in superficie, croccanti palline di zucchero bianco ne contrastano la morbidezza.
Parole irresistibili che si vorrebbero mangiare, assaporare, succhiare, leccare.
Ma queste parole descrivono deliziosi dolci che una piccola pasticceria di Genova sforna dai primi dell’Ottocento.
Sto parlando di Romanengo, ovviamente.
Quando si ha a che fare con il cibo, spesso, attaccato al gusto, arriva un ricordo.
Quindi non mi resta che raccontarvi il mio.
Avevo una zia che abitava a Genova e per Pasqua mi portava sempre i cosiddetti Quaresimali.
In un vassoio avvolto da una carta bianca, legata da un nastrino chiaro, a sua volta ricoperta da una azzurra, con nastrino blu, fermata con semplicità dal marchio della pasticceria, si nascondevano scrigni di sapore.
Sento ancora il rumore dei quella carta piena di promesse che scricchiolava tra le dita, il nastro che scivolava via, il profumo di frutta che usciva dal pacchetto, il sorriso dagli occhi azzurri che mi guardava e si gratificava della mia piccola gioia.
Non sono attratta dai dolci, ma quel pensiero che da Genova, su un treno, tra le mani prudenti della zia per non rovinare la confezione, i Quaresimali arrivavano fino a me, mi rendeva perfino golosa.
E assaggiavo e mugolavo come un cagnolino felice. Non erano i dolcetti che gustavo, ma l'immenso amore della zia.
Pare che questi pasticcini risalgano al Cinquecento, quando le suore del convento di San Tommaso preparavano la pasta di mandorle senza burro, latte e uova, per rispettare il divieto di mangiare grassi animali, durante la Quaresima.
Un giorno la zia arrivò con un nuovo regalo da scartare: un libro. Era un giallo dal titolo: I cioccolatini di Soziglia, di Carlo Alberto Rizzi. Perché la pasticceria si trova in una piazza che ha quel nome, nel centro storico di Genova. Lo divorai, con lo stesso gusto che ci mettevo nel mangiare i Quaresimali, pensando che prima o poi mi sarebbe piaciuto vedere quel posto.
Desiderio esaudito. Una volta all’università, la zia mi accompagnò lì, per assaggiare una delle loro prelibatezze: le gocce di rosolio. Piccoli scrigni di zucchero liscio che, una volta rotti con i denti, lasciano uscire diversi tipi di rosolio al gusto di rosa, certosino, anice, curaçao, marasca, acqua amara, e viola.
Passarono gli anni e un giorno, una cara amica della zia che ormai non c’era più, mi fece una sorpresa e mi donò proprio i Quaresimali, che portarono con sé ondate di emozioni.
Gli anni passarono ancora e, con stupore, scoprii che la pasticceria Romanengo aveva anche un negozio a Milano. Ne parlai con mio figlio che abita là.
E ieri, l’altro mio figlio, al rientro da Milano, come un messaggero di prelibatezze, è sceso anche lui dal treno e mi ha consegnato il magico pacchetto.
L’accoglienza nel negozietto meneghino è stata eccezionale, con tanto di assaggi e racconti e sorrisi. Mio figlio ne è rimasto affascinato e credo che tornerà, forse con me, per fare nuovi acquisti.
A casa ho assaggiato tutto, ricordando, con emozione, quei profumi che si confondevano con la zia profumata e bella e dolce.
Non vi resta che provare queste delizie a Genova o a Milano, anche se vostra zia non ve le ha mai fatte assaggiare, anche se la sua amica non ve le ha mai regalate, anche se non avete un figlio che ve le compra e uno che ve le porta.
Sappiate solo che i Quaresimali si possono assaggiare solo nel periodo pasquale. Durante il resto dell’anno la pasticceria non li produce ma vi potrete consolare con canditi sorprendenti come quello al chinotto, unico al mondo, i confetti, i fondant, il cioccolato, le confetture. E mi fermo qui. 
Tra le dita rigiro il nastrino che lega nel tempo dolci, affetti, ricordi.

Certo, ciò che palpita così, nel profondo di me stesso, deve essere l’immagine, il ricordo visivo, che, legato a quel sapore, si sforza di seguirlo fino a me.

Ma, quando di un passato lontano non resta più nulla, dopo la morte degli esseri, dopo la distruzione delle cose, soli, più fragili ma più vividi, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l’odore e il sapore rimangono ancora a lungo, come anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, sulla rovina di tutto il resto, a sorreggere senza piegare, sulla loro stilla quasi impalpabile, l’immenso edificio del ricordo.

Tratto da M. Proust, Alla ricerca del tempo perduto
Foto GiBi


La panizza - A panissa



Per 4 persone

Ingredienti
300 gr. farina di ceci
½ cipolla
1 lt. acqua tiepida
olio extravergine di oliva
sale e pepe q.b.

Preparazione
Versare in una casseruola, dove avete messo la farina di ceci, un litro di acqua tiepida, mescolando continuamente fino a creare un composto omogeneo e senza grumi.
Regolare il sale e mettere sul fuoco mescolando lentamente per circa 40 minuti.  
Versare la panizza in un piatto e lasciarla raffreddare. 
Tagliarla a tocchetti, irrorarla con l’olio extravergine di oliva, aggiungere un po’ di sale, un pizzico di pepe e la cipolla tagliata finemente.

Immagine realizzata con AI

tratto dal libro: 
"Tavola Aromatica" Storie, Chiacchiere, Suggestioni e... di Guja Boriani & Elena Torti

Storia vera

Una sera, sulla mia posta elettronica, arriva una mail misteriosa intitolata: 

Lettore del tuo libro.

L’ho aperta con curiosità e la scoperta mi ha lasciata senza fiato.
Dopo averla scorsa velocemente, l’ho riletta più volte ed ecco che un evento inaspettato mi ha permesso di riaprire una finestra su un lontano e importante ricordo.
Intorno a me, in quei giorni, si sono subito riuniti familiari, amiche di penna, persone che mi vogliono bene. Tutti “sintonizzati” su ciò che sarebbe accaduto a seguito di questa novità. Li ho sentiti vicino virtualmente, pronti a vivere insieme a me una nuova avventura, che sapevano mi avrebbe fatto solo bene.
Ed è accaduta una cosa che forse è proprio ciò che mi ha spinto a scrivere il primo romanzo: “Ladra di mamme”, che è un romanzo, appunto, una storia inventata. Solo l’incidente scatenante è reale. Ma proprio di questo io conosco pochissimi particolari.
Ed ecco che, proprio come nelle favole, dal nulla esce un “ex bambino” con cui giocavo proprio in quell’albergo, proprio fino al giorno prima di ciò che è accaduto.
Lui mi ha rintracciato inseguendo le pagine del libro. L’incipit di quella storia lo conosce bene. Se l’è portato dietro da una vita. E lo conosce meglio della scrittrice.
In pochi giorni, quel lontano amico, si è materializzato davanti a me, ricco di aneddoti, generoso nell’aver custodito per ben cinquantadue anni la narrazione di ciò che è accaduto.
Ha qualche anno di più e si ricorda perfettamente ogni particolare che l’eccezionalità della situazione ha scolpito nella sua mente. Le sensazioni, gli eventi nel loro drammatico susseguirsi, le azioni prima e dopo quell’attimo che mi ha cambiato la vita.
Lui ha colmato un vuoto della mia esistenza con parole calde, immagini vivide e persino allegre.
Non credo sia stato facile affrontare una cosa del genere, ma ci è riuscito.
Da questo incontro i miei scarsi ricordi hanno preso una nuova via, si sono fatti più chiari, più gioiosi. Il dolore si è allontanato ancora di più, lasciando posto a una maggiore serenità.
Il filo del tempo ci ha uniti in quell’estate del 1971 per poi allentarsi: anni e anni in cui abbiamo preso vie diverse. A volte si tendeva, a volte si accorciava questo filo, fino a riportarci, come un resistente elastico di gioia, di nuovo vicini.
Per guardarci negli occhi come quando eravamo bambini, senza paura.
Tra le tante cose che aveva da dire, svelo solo questo: il giorno prima del tragico evento gli ho sequestrato la chitarra, cercando di suonarla per una giornata intera. Con l’esito di una grande bolla sul dito. Ecco, forse, da dove deriva la mia fissazione di imparare a suonare uno strumento, sempre disattesa dal corso degli eventi.
Un piccolo ricordo, senza particolari significati. Ma un ricordo di normalità, dove tutto funzionava. Dove c’era una volta una bambina con una mamma e un papà. E la storia sarebbe stata più bella se fosse finita lì.
L’esistenza però ci regala situazioni che vanno ben oltre la nostra fantasia. Magie che non crederesti mai si possano avverare.
E proprio il mio piccolo libro si è assottigliato diventando filo del tempo, ponte tra due persone.
Non è proprio questo che mi spinge a scrivere? Creare un rapporto tra scrittore e lettore, unire passato, presente e tutto ciò che non abbiamo vissuto.
A me questa sembra una bella, incredibile, magica favola e ho voluto condividerla con voi.
Perché i libri non smettono mai di stupire noi, che li amiamo così tanto.

Immagine generata con AI




L'uomo che suonava Beethoven di Jean-Baptiste Andrea - recensione

 


Questa è una bella storia, pubblicata da Einaudi, che racchiude altre storie: piccole matrioske che si infilano una nell’altra, unite dal filo della cattiveria umana, ma anche da gesti eroici, seppur di bambini.
Il protagonista, Joe, è un pianista che suona negli aeroporti e nelle stazioni ferroviarie, ovunque trovi un piano “pubblico”, che chiunque può suonare. 
Ma le melodie che escono dalle sue mani sono solo quelle di Beethoven.
All’apparenza sembra un vecchio originale, con qualche stramba fissazione, ma lui pare consapevole della sua scelta, perché, afferma, sta aspettando una donna da ben cinquant’anni.
Narrato in prima persona, presto il racconto torna indietro nel tempo, quando Joe perse la famiglia in uno schianto aereo e venne spedito in un terribile orfanotrofio in stile dickensiano.
Qui si misura con le vite di altri bambini, che a loro modo esprimono maturità impensabili. 
I nomi dei suoi compagni di sventura hanno un preciso significato che li riporta alle loro caratteristiche.
Lo squallore e la violenza, conditi dai sofisticati, o primitivi a seconda dei casi, mezzi di punizione del reverendo e del sorvegliante, vengono attutiti da una deviazione della sua sorte.
Joe, infatti, proprio perché già pianista di pregio, viene inviato come insegnante in una casa in cui una ragazzina diafana, ricca e viziata non ha alcuna intenzione di imparare a suonare il piano.
Il rapporto tra i due ragazzini evolve, fino a portarli a una decisione estrema. Ma qualcosa va storto.
Intanto la società segreta che si è formata tra gli orfani all’interno dell’istituto religioso, trama una gloriosa fuga, irta di pericoli.
La critica alla fede cieca e ottusa si snoda capitolo dopo capitolo. 
La disumanità che nasce dalla convinzione di essere dalla parte di Dio e quindi del Giusto, porta gli adulti, che dovrebbero accogliere e accudire i bambini, a essere spietati aguzzini.
Molti passaggi sono poetici e scritti con grande cura, il romanzo di Jean-Baptiste Andrea si legge in un soffio, fino all’epilogo, in cui si torna al presente, al vecchio Joe, che svela cosa ci sta a fare attaccato ai pianoforti di mezza Europa, a suonare solo Beethoven.

Frasi che mi sono piaciute:

“Quando quel ragazzo argentino, Barenboim, suona Beethoven, è tutta un’altra storia.”

“Maglioncino verde acqua, pantaloni bianchi, Rose sedeva languida davanti a un pianoforte da studio Kawai, uno strumento da bettola che stonava con i soffitti affrescati e gli angioletti sparpagliati alla rinfusa su rive di gesso.”

“Non ci insegnavano a pensare in grande, a pensare in generale.”

“— Come sono morti i tuoi genitori?

  — Stabat mater dolorosa
       juxta crucem lacrimosa,
      Dum pendebat Filius.

— Non ti va di parlarne?”

Elizabeth Finch - recensione del romanzo di Julian Barnes

Questo è un libro in cui, fin dalle prime pagine, si viene rapiti dalla raffinatezza dello scrittore.
Anche se, confesso, non l’ho apprezzato interamente. Forse perché l'ottima scrittura dei primi capitoli mi ha portata ad avere alte aspettative.
Julian Barnes, nel suo romanzo intitolato Elizabeth Finch, racconta la storia di un’insegnante universitaria che tiene un corso di Cultura e Società ad alunni già adulti, desiderosi di approfondire certe materie umanistiche.
Il punto di vista è quello di un suo alunno, Neil, nella vita un inconcludente, con matrimoni falliti e figli che non vivono con lui.
Per lui la docente emana un fascino intellettuale unico e, con le sue lezioni anticonformiste, gli fa venire il desiderio di conoscerla meglio.
Neil, una volta terminato il corso, la invita a pranzo, e mantiene questa abitudine negli anni, fino alla morte della sua professoressa.
Il rapporto rimane sostanzialmente statico, gli incontri sembrano avvenire su un piano amichevole, di scambio di vedute sulla vita.
Ma chi è veramente EF, come la chiama lui?
Una donna intelligente, sobria, determinata, carismatica e sicura di sé, in grado di tenere attento l’uditorio della sua classe con scambi di punti di vista e ragionamenti inconsueti.
I suoi pensieri sono illuminanti, le frasi taglienti rimangono scolpite nella mente di Neil che desidera rimanere in contatto con lei, quasi per trarre saggezza e verità da questa donna affascinante e un po’ misteriosa.
Alla sua morte Neil intavola un rapporto con il fratello di lei, Chris, che gli consegna l’intera biblioteca e le carte, secondo la volontà di EF, espressa nel testamento.
Neil, incredulo di fronte a una tale fonte di informazioni sulla vita dell’insegnante, si mette subito al lavoro, forse alla ricerca dell’effimero che lei emanava, forse alla ricerca di verità nascoste. Presto si imbatte su una serie di appunti, carte, diari, in particolare sull’ultimo imperatore pagano, Giuliano l’Apostata, Flavius Claudius Julianus, bollato dalla storia come anticristo.
E così scopre che la sua insegnante aveva cercato di scrivere un saggio su questo imperatore, un saggio incompiuto che non le ha portato nulla di buono e che lui è quindi determinato a terminare, in un raro slancio verso la compiutezza.
Il parallelo tra l’incapacità di bloccare l’avanzata della religione Cristiana a favore del politeismo da parte di Giuliano e il tentativo fallito di EF di divulgare il suo pensiero, simile a quello dell’imperatore, crea un corto circuito in cui il lettore si ritrova a leggere un saggio all’interno del romanzo. Il saggio che Neil vuole portare a termine per onorare la sua mentore.
Il cuore del romanzo quindi è un saggio che io ho trovato eccessivamente lungo e di scarso interesse, anche perché i concetti potevano essere espressi con molte meno parole, a vantaggio della figura di EF, che è certamente il personaggio meglio riuscito.
Il racconto sulla vita e sulle frasi lapidarie di EF, molto interessanti e acute, a mio parere si interrompe per troppe pagine, tant’è che mi sono domandata più volte dove lo scrittore volesse andare a parare.
Al termine del lungo excursus storico l’autore / Neil si domanda se EF gli abbia lasciato i suoi appunti affidandosi al caso, senza una vera intenzione di fargli ricostruire il suo saggio, o se in realtà abbia voluto abbandonare dietro di sé delle piste sulla sua vita misteriosa.
E così decide di fare anche lui, in un gioco con il lettore, affermando che il suo lavoro di ricostruzione della vita di EF e del saggio su Giuliano, lo lascerà anche lui in un cassetto, alla mercé di qualche figlio, mentre nella realtà il romanzo / saggio si trova tra le mani di chi lo sta leggendo. Lo stratagemma del libro nel libro per me è sempre accattivante e adoro il gioco di specchi con il lettore.
Per me è un libro fatto di molte domande poste con grazia e arguzia e di risposte aperte, un libro non scontato che mette in moto il cervello di chi legge, il quale, ci scommetto, sottolineerà molte frasi e tornerà a rileggerle. Io l’ho fatto.

Intervista con dieci domande all'autrice Elsa Lohengrin


Questa è un'intervista a cui tengo e, vedrete, le risposte sono molto interessanti sia per lettori che per scrittori. 
Elsa Lohengrin è nata in Inghilterra, è cresciuta in Italia e ora vive in Svizzera, dove divide le sue giornate tra l’attività di traduzione, lo studio della narratologia, la scrittura dei suoi romanzi, la sua famiglia e una miriade di altri impegni. Ha studiato scrittura creativa con alcuni dei maggiori esperti di storytelling negli Stati Uniti, conseguendo diversi diplomi. Scrive narrativa contemporanea e storie d'amore in italiano, la sua lingua di preferenza. Ha un marito e tre figli, e sogna di vivere in un paesino sperduto lungo la costa scozzese.

1 Che consiglio ti daresti se stessi iniziando a scrivere?
Mi consiglierei di non scrivere nemmeno una parola prima di aver capito esattamente cosa sia una storia e come si sviluppi una narrazione che coinvolga i lettori, in modo da non perdere un’infinità di tempo nel tentativo di mettere a posto storie che non funzionano perché scritte senza cognizione di causa.

2 Se potessi condividere un calice di vino, una birra, un caffè o una tazza di tè con uno dei tuoi personaggi, chi sceglieresti e perché?
Domanda difficilissima. Vorrei incontrarli tutti dal vivo! 
Mi sa, però, che alla fine sceglierei MacLeod, anche se con tutta probabilità non capirei un acca di quello che direbbe, ma non sarebbe male perdersi nei suoi occhi per una volta nella vita ;-D

3 Dove ti piacerebbe essere mentre scrivi uno dei tuoi romanzi? È importante la location o scrivi dovunque?
Mi piace scrivere in luoghi con vista sul mare, ma in generale scrivo ovunque, basta che ci sia silenzio. Non riesco a scrivere in luoghi affollati o dove c’è musica di sottofondo ad alto volume. Mi piace anche andare nel luogo in cui è ambientata una scena e poi tornare a casa e dedicarmi solo a descrivere quel posto, cercando le parole che userebbe il personaggio punto di vista per farlo, senza pensare a tutto il resto della scena.

4 Come riesci a conciliare il lavoro di autrice con tutto il resto (famiglia, altro lavoro)?
Prendo ogni giornata come viene. Ho smesso di fare piani, perché tanto succede sempre qualcosa per cui alla fine non riesco a portare a termine tutto quello che mi ero prefissata. Scrivo perlopiù di notte, perché ci sono meno interruzioni e posso davvero immergermi nei miei personaggi. Le mie giornate sono invece suddivise tra il lavoro di traduttrice, i miei tre figli, mio marito e le mille altre cose che ci sono da fare nella vita.

5 Come bilanci la necessità di soddisfare i lettori con la tua visione creativa personale?
Il Cigno è il primo libro che pubblico ed era anche il libro che volevo assolutamente scrivere. Non ho quindi modificato la storia per soddisfare i lettori o non disturbarli, perché non volevo scendere a compromessi. Ho invece tenuto conto delle reazioni dei lettori nello scegliere le tecniche narrative da usare, ma non considero questo sforzo una limitazione della mia libertà creativa, anzi: riuscire a portare i lettori dove voglio è per me una sfida costante che mi spinge a usare ancora di più la mia creatività.

6 Ti è successo di commuoverti mentre scrivi una scena toccante?
Non veramente: la parte analitica del mio cervello è molto difficile da spegnere! Riesco a immedesimarmi molto bene nei miei personaggi, ma quando scrivo e rileggo, sto esaminando decine di cose contemporaneamente e non c’è molto spazio per essere particolarmente sentimentali. Più che altro sono molto sadica con i miei personaggi, perché, finché non li metto davvero con le spalle al muro, quelli non imparano niente! Killian poi è stato davvero un osso duro…

7 Veniamo al tuo romanzo: Il Cigno. Quando ti è venuta l’idea di scriverlo e perché?
Il Cigno è nato per puro caso. In uno dei tre romanzi che avevo scritto prima del Cigno, a un certo punto è comparso Killian in un ruolo del tutto marginale. Volevo eliminarlo, ma continuava a tornarmi in mente, finché non è diventato così insistente che ho dovuto dargli ascolto e raccontare la sua storia. Con Il Cigno volevo anche dar voce a tutte quelle persone che, nel corso degli anni, mi hanno raccontato le loro storie di sofferenza, gioia e dolore e far loro coraggio.

8 Nella tua saga cosa è più importante? I personaggi, l’intreccio, il messaggio, l’ambientazione o altro?
Decisamente i personaggi. Amo plasmare i loro caratteri, i loro pregi e difetti e il percorso di crescita che affronteranno nel corso della storia. Amo poi metterli uno contro l’altro e vedere cosa succede. L’ambientazione, invece, non mi interessa così tanto. Certo, è un elemento importante in un romanzo e non va trascurata, ma non comincerei mai a scrivere un romanzo dalla descrizione di un luogo. Quella per me è sempre l’ultima cosa. Prima vengono i personaggi, poi la trama e il tema.

9 Come tratti il tema della diversità?
In modo quanto più naturale possibile. Per me ciascuno è libero di vivere la sua vita nel modo che più gli si addice.

10 Puoi raccomandare il titolo di un libro che ti ha segnato e ha influenzato la tua scrittura?
Io prima di te di Jojo Moyes per il suo modo di trattare temi devastanti come l’eutanasia in modo apparentemente leggero e ironico: anziché togliere potenza al messaggio, questo suo modo di scrivere coglie nel segno con una tale forza che il lettore è costretto a riflettere sulla tematica, che lo voglia o meno. È questa la bravura degli scrittori che davvero padroneggiano le tecniche della scrittura creativa moderna.

Trama del romanzo
Il dottor Killian Altavilla è senza parole. Dopo aver rinunciato al sogno di diventare medico legale per accontentare la sua ragazza, Mélanie, scopre di essere stato scelto come assistente di uno dei migliori medici legali in circolazione ed è costretto a rivalutare la sua decisione, con grande disappunto di Mélanie, che sperava di sposarsi e mettere su famiglia entro l’anno.
Ma non appena Killian incontra il suo nuovo capo, il Professor Lachlan MacLeod, il mondo perfetto che si è creato intorno comincia a sgretolarsi. Il rapporto con Mélanie diventa sempre più conflittuale e la sua vita quotidiana si trasforma in una gabbia dorata.
Perché Killian non è quello che tutti pensano. Killian si porta dentro il peso di una scelta fatta quando era troppo giovane e ne paga le conseguenze ogni giorno, anche se non lo vuole ammettere. Eppure adesso è arrivato il momento di guardare negli occhi il Cigno e di fare i conti una volta per tutte con il passato che sta disperatamente cercando di ignorare.
Riuscirà a salvare la relazione con Mélanie e a diventare medico legale o crollerà sotto la pressione dei ricordi risvegliati dall’imponente figura di MacLeod?
Il Cigno è il primo romanzo autoconclusivo della Saga degli Altavilla, una serie dedicata alle vicissitudini sentimentali dei membri di questa numerosa ed eclettica famiglia contemporanea.

Presentazione del protagonista
“Esistono cose nella vita che non vogliamo vedere, che non vogliamo ammettere nemmeno a noi stessi, perché riconoscerle vorrebbe dire abbandonare il mondo in cui ci sentiamo comodi e protetti, vorrebbe dire affrontare la realtà, sovvertire i poli della nostra esistenza, andare incontro all'incognito con tutti i suoi rischi. Ma poi succede che incontriamo persone che scardinano le nostre certezze, che ci costringono a vedere anche quello che non vogliamo, che ci fanno capire chi siamo veramente. E alla fine dobbiamo scegliere. Dobbiamo scegliere se tornare nella nostra gabbia dorata e chiudere la porta per sempre o spiegare le ali e volare verso l'infinito. Piacere, sono il dottor Killian Altavilla e questa è la mia storia.”

Se non lo avete già, ecco dove acquistarlo in formato e-book o cartaceo, gratuito su Kindle Unlimited: Il Cigno di Elsa Lohengrin su Amazon


Intervista con dieci domande all'autore Marco Buttazzi


Un tempo cronista nel Ponente ligure, mio collega al settimanale "La Riviera", eravamo spesso in coppia, lui come fotografo, io come giornalista. Paparazzo accreditato presso i più prestigiosi festival del cinema (Cannes, Venezia) e della canzone (Sanremo), ha amato molto il giornalismo d’inchiesta, avendo avuto come fulgido esempio i due giornalisti del Washington Post che detronizzarono nientemeno che Nixon. Recentemente si è dilettato a scrivere il suo primo romanzo, Le umane imperfezioni, completamente gratuito su Wattpadper sottrarsi alla dura realtà quotidiana. E conta di scriverne ancora tanti altri.
Per la foto, anche se è di qualche anno fa, ho voluto assolutamente che Marco mi mandasse quella con il suo sosia, Piero Chiambretti, sono identici, non trovate?

1 Parlami di te, cosa fai e cosa hai fatto nella vita, in particolare spiega cosa ti lega al mondo della narrativa.
Ho sempre avuto a che fare con il giornalismo e, soprattutto, con la fotografia in un’epoca in cui non era digitale e per pubblicarla dovevi saper lavorare in camera oscura. Il mio presente e il mio passato non c’entrano nulla con il mondo della narrativa. Posso però dire che ho la fortuna di possedere una libreria colma di classici della letteratura italiana, francese, tedesca, russa e americana. E sul mio comodino c’è sempre un libro di Pier Paolo Pasolini ad attendermi.

2 Cosa scrivi?
Vorrei scrivere racconti che affrontano temi di carattere sociale: storie di disoccupati, di sfruttati, di sottopagati che non arrivano a fine mese. Ma adoro anche la satira e l’umorismo nero che possono migliorare le condizioni di vita nella nostra società, denunciandone e correggendone le storture. Per esempio, nel cinema si può guardare al Dottor Stranamore di Kubrick, a Divorzio all’Italiana e a Sedotta e Abbandonata di Germi.

3 Il tuo ultimo lavoro di cosa parla?
Il mio ultimo lavoro, che è anche il primo, narra la storia di una giovane coppia in grave crisi dopo otto anni di matrimonio. L’argomento è molto severo e crea un profondo attrito tra i due coniugi che, a lungo andare, non sanno più come gestire al meglio la situazione.

4 Come funziona la tua creatività? Quando scrivi? Dove?
Scrivo quando mi si accende la lampadina ed esclamo “Eureka!”. Ovunque io mi trovi. A qualunque ora del giorno e della notte mi si può trovare con il naso infilato nel vocabolario della Treccani o nel sito web dell’Accademia della Crusca. Sono capace di alzarmi da letto, e riaccendere il computer alle quattro del mattino, perché mi è venuto in mente il vocabolo da usare in una particolare situazione.

5 Quale pensi che sia il tuo pubblico?
Posso dirti quale non è: i lettori che hanno meno di vent’anni. Ma per cogliere appieno le allusioni e apprezzare le sfumature del mio testo bisogna averne almeno il doppio. Quindi il mio pubblico di riferimento ha quarant’anni.

6 Come trovi l’ispirazione?
Tentando di ricordare dei film dove il problema di una certa scena o di un certo dialogo sono già stati affrontati e risolti. Tutto quello che ho scritto finora è pieno di minuscole citazioni di classici del cinema, ma non li menziono tutti perché altrimenti dovrei scrivere un libro a parte. Mi limito a indicarne soltanto alcuni e generalmente servono allo scopo. Talvolta mi aprono la strada verso percorsi inesplorati.

7 La cosa più pazza che fai quando scrivi?
Esigo il più totale silenzio. Ma siccome i telefoni hanno lo strano vizio di squillare proprio quando sono maggiormente ispirato, spengo almeno il mio. Tuttavia c’è anche quello di mia moglie da silenziare, ma non si può. Così non mi resta che una soluzione: scrivere alle cinque del mattino, quando si presume che stiano tutti dormendo nel raggio di qualche centinaio di metri...

8 Utilizzi beta reader, come ti trovi?
Benissimo! Sono due ottime collaboratrici con le quali l’intesa è perfetta. Lo devo ammettere: se sopportano un orso come me, non possono che avere la vocazione al martirio.

9 Cosa pensi dell’editoria attuale?
Non mi sono ancora fatto pienamente un’idea. L’editore mi sembra però una versione edulcorata del produttore cinematografico. Dopotutto un libro costa molto meno di un film, quindi il rischio per l’editore è decisamente inferiore.

10 Sei un esperto cinefilo. Analogie tra mondo della letteratura e cinema. Quali sono i punti d’incontro e in cosa si differenziano?
Fino a poco tempo fa ti avrei risposto senza indugio che le differenze erano abissali. Oggi ne sono meno convinto. Certamente il film è una storia narrata per immagini, e il romanzo per parole scritte su carta, ma la differenza si sta assottigliando sempre più.

Foto archivio Marco Buttazzi

Le Radici della collaborazione

Qualche tempo fa ho visto un programma della bravissima Barbara Gallavotti (è stata collaboratrice di Piero Angela, per capire chi è) sulle simbiosi che si creano nel mondo vegetale attraverso le reti sotterranee di funghi e batteri. Questi, infatti, mettono in comunicazione le radici delle piante che sono in grado di scambiarsi informazioni e nutrimenti, avvertendosi reciprocamente di pericoli o carenze. Insomma, si aiutano a vicenda.
Le sue parole mi hanno fatto riflettere su quanto sia importante “essere in rete” anche per noi umani.
Quando avevo deciso di pubblicare il mio romanzo “Ladra di mamme” in self publishing, ho capito che la strada giusta era quella della collaborazione.
Volevo coordinare in prima persona tutte le fasi di realizzazione, dalla stesura alla promozione, ma al contempo sentivo il bisogno di confrontarmi con chi aveva già percorso quel cammino.
Ho cercato così di costruire la mia “rete” di conoscenze, fatta di autori indipendenti, editor, beta reader, blogger, esperti di marketing, professionisti che mi hanno offerto generosamente la loro esperienza. Ne è scaturito un lavoro corale in cui ognuno ha fornito il proprio contributo per ottimizzare tempi, risorse ed energie.
Alla fine ho imparato che self publishing non vuol dire necessariamente “da soli”. Al contrario, per crescere è fondamentale coltivare relazioni e connessioni, proprio come fanno le nostre amiche piante con le loro radici.
Mettersi in rete per condividere, informare e sostenersi a vicenda: è questo il segreto per tradurre un progetto personale in un successo collettivo.
Sul mio sito web La soffitta di Guja trovi una sezione, “La rete”, appunto, in cui ho collegato alcune persone con cui mi trovo in sintonia.
Qui sul Blog troverai interviste ad altri autori e condivisione di diverse esperienze, oltre ai miei racconti gratuiti.
E, se vuoi condividere con me il mio universo, puoi acquistare il romanzo su Amazon: Ladra di mamme
E anche La scelta di Artemisia, della serie: Le Spirali.
Se li hai già, ricorda di mettere un breve commento e le stelline, per noi autori è un piccolo gesto molto importante. Grazie.
Non dimenticare la mia nuova pagina Facebook: Pagina Autore
e, se puoi, lascia un like, un commento o, se hai domande da farmi, sarò felice di rispondere.
E tu, hai la tua Rete?
Immagine creata con AI

La Mes-ciua della zia Jole





Per 4 persone
Ingredienti
200 gr. di ceci
200 gr. di fagioli di Conio
50 gr. di grano
un pizzico di bicarbonato
olio extravergine di oliva
sale e pepe in grani q.b.

Preparazione
Mettere a bagno i ceci ed il grano in acqua tiepida con un pizzico di bicarbonato in un unico recipiente,  i fagioli vanno messi a parte, sempre con acqua tiepida e bicarbonato, per una notte. Il giorno dopo scolare i ceci ed il grano e cuocerli in acqua fredda non troppo salata. Dopo mezz’ora scolare anche i fagioli e lessarli in acqua fredda leggermente salata. I fagioli hanno bisogno di minor tempo di cottura. Quando tutto è pronto versare i fagioli nella pentola (meglio di terracotta) contenente ceci e grano, se necessario aggiustare il sale. Far sobbollire ancora 15 minuti. Condire direttamente nel piatto del commensale con il pepe macinato sul momento e olio extravergine di oliva. Si può servire con pane di Triora tostato al forno.

Un po’ di storia
Questa meravigliosa zuppa un tempo veniva realizzata con i fondi dei sacchi dei legumi i quali venivano mescolati (da qui il nome della pietanza).
Questo piatto frugale potrebbe avere  origini arabe, oppure potrebbe derivare proprio dal fatto che gli scaricatori dei porti liguri, a fine giornata, racimolavano gli scarti  dei sacchi di granaglie o di legumi, rotti duranti le operazioni di sbarco e imbarco delle navi. 
Con questi prodotti mischiati, a casa, le donne ne facevano una zuppa semplice e sostanziosa. 


tratto dal libro: 
"Tavola Aromatica" Storie, Chiacchiere, Suggestioni e... di Guja Boriani & Elena Torti
Foto realizzata con AI



Pubblicazione in self sulla piattaforma Amazon KDP


Cosa significa pubblicare un romanzo? E pubblicare "in self"?
Devo confessare che all'inizio avevo l'idea romantica di pubblicare il mio primo romanzo con una Casa Editrice, anche piccolissima. Ma poi ho capito come vanno le cose e mi sono messa in gioco, con l'idea di controllare personalmente ogni passaggio, cosa che faccio già gestendo la mia azienda di famiglia.
Prima di prendere questa decisione ho fatto molte ricerche e studi, sono lenta nelle scelte importanti e mi sono concessa tutto il tempo necessario, frequentando l’ambiente degli scrittori esordienti e partecipando a corsi e webinar su questo tema.
Alla fine ho trovato la pubblicazione in self utile e interessante. Ho potuto scegliere la mia editor e correttrice di bozze, l'impaginatore, il grafico per la copertina e ho potuto gestire il lancio, coadiuvata da una professionista. Su KDP si può anche decidere il prezzo finale dei miei libri che può essere modificato nel tempo e mi è piaciuto aderire a Kindle Unlimited in cui i lettori abbonati possono accedere all’e-book gratuitamente.
Una delle cose che ho apprezzato di più è la libertà che ho avuto nel fare le mie scelte. Ho potuto decidere tutto, dal contenuto del libro alla copertina, e ho avuto il pieno controllo su ogni aspetto del processo di pubblicazione. Inoltre, il fatto che tutto sia stato fatto in tempi rapidi, mi ha permesso di concentrarmi sugli ultimi ritocchi del romanzo.
La pubblicazione in self può sembrare spaventosa, soprattutto per coloro che non hanno esperienza di marketing. Personalmente, ho sempre avuto difficoltà a gestire questo genere di attività.
Tuttavia, grazie alla dritta di un'altra scrittrice, ho trovato, tra i vari spunti che ho seguito, le lezioni di Raffaele Gaito (fornisce molti contenuti gratuiti) utili e stimolanti, e mi hanno aiutato a gestire meglio la promozione del mio libro e tutto ciò che ne consegue.
Per posizionarmi in maniera corretta ho creato un sito web professionale, ho scelto un dominio a pagamento e ho cercato di inserire contenuti che possano interessare anche altri scrittori e lettori.
I testi sono brevi e le informazioni vengono implementate nel tempo. Dal sito web si può accedere a tutti i miei spazi virtuali: da questo Blog ai social su cui sono attiva, fino all’area di acquisto su Amazon. Tengo molto alla sezione del sito: ‘La rete’, ma ve ne parlerò.
Qualcuno dirà: sì, ma la libreria… lo penso anch’io.
La libreria è uno dei luoghi più magici che ci sia. Sì, anche io adoro il profumo della carta, ho passato anni a leggere ogni libro iniziato fino all’ultima pagina e non mi sognavo neanche lontanamente di fare le orecchie o sottolineare, tantomeno di leggere un romanzo sul telefono.
Però so cambiare idea, voglio seguire l’evoluzione del mondo, mi piace sperimentare e quindi lo faccio, come se avessi vent’anni. E forse è questo che mi riempie di energia e di voglia di fare.
Spero che queste informazioni ti siano state utili e ti abbiano ispirato a considerare la pubblicazione in self, oppure che ti abbiano incuriosito, se anche tu non sei uno smanettone tecnologico, come me.
Ricorda, l'auto-pubblicazione offre la libertà di prendere le tue decisioni e di controllare ogni aspetto del processo, basta farsi aiutare e creare una Rete.
Se vuoi saperne di più, seguimi sul mio sito web e su i miei social, oppure contattami, sarò felice di risponderti.

L'uovo vero e l'uovo finto - La copertina di "Ladra di mamme"

Come molti di voi sanno a Elenia, la protagonista del romanzo, piacciono i colori, anzi, lei ‘sente’ a colori. Forse perché sua mamma, Artemisia, era una pittrice e la bambina è nata in mezzo a cavalletti e pennelli.
Il suo colore preferito è un azzurro verdino, uguale a quello dell’uovo del pettirosso. Un colore dolce e originale che è anche stato scelto da Tiffany, forse un po’ di tempo prima… Quindi sulla copertina, in accordo con il grafico che l’ha realizzata, ho pensato di inserire proprio un uovo di pettirosso, simbolo di rinascita, forziere della vita, ma anche di chiusura e di potenzialità.
Elenia, nel racconto, dopo la morte della madre, infatti si chiude sempre più in se stessa. I suoi familiari, all’inizio presenti in una narrazione corale, scompaiono uno a uno, per lasciare la sola voce della bambina che cresce in un’atmosfera nebbiosa di solitudine e introspezione, proprio come dentro a un uovo virtuale.
Nei suoi tentativi di analizzare la realtà, inizia a parlare con il suo Stomaco, che diventa alter – ego e che la aiuta, a volte in maniera un po’ antipatica, a comprendere ciò che le accade intorno nel passare degli anni.
Il suo percorso evolutivo la porterà a ritrovarsi adulta e scrittrice, intenta a scrivere, nella sua soffitta adorata e piena di ricordi, proprio la sua storia, in un racconto circolare (come un uovo), attraverso i colori, che ho voluto rappresentare in copertina con i veli colorati, agitati dal vento della speranza, per simboleggiare la realizzazione dell’individuo, se impara a credere in se stesso.
Ecco, questa è la spiegazione dell’immagine misteriosa.
Ma… c’è un colpo di scena.
La mia copertina era stata realizzata e il libro stava per uscire, mi sentivo elettrizzata sia per l’aspetto particolare dell’immagine che per la fine di un lavoro lungo e impegnativo, quando la mia editor, Michaela Nicolosi, che abita in Svizzera, per caso, si è imbattuta in un’installazione incredibile che rappresenta quasi esattamente l’uovo e i veli. Incredula mi ha inviato alcune foto.
A me sembrava di aver ideato una cosa unica, invece, prima di me, nel 2010, l’artista olandese Hans van Koolwijk, ha inventato questa struttura che si chiama: ‘Klankkaatser’. All’esterno è un uovo dello stesso colore di quello di pettirosso, davanti ha posizionato alcuni veli colorati che fluttuano e, al suo interno, si trova una vera e propria macchina del suono, che cambia in base alla posizione del visitatore. Idea geniale.

Non è un’incredibile coincidenza? Cosa ne pensi?

Foto dell'opera d'arte di Michaela Nicolosi

La rete


Questo racconto, tratto da una storia vera, ha vinto il contest: #sese20righe_rete su FB.
Come gradito premio ho ottenuto un editing
da Marcella Garau che ringrazio.


Non so per quanto tempo ancora potrò essere Peter.
Pronunciate Peter con la “e”, per favore, sono berlinese.
Come può essere bello un pezzo di ferro arrugginito, appena dipinto.
E come farò a dire a mia madre cosa ho combinato? Lei è di là, nella DDR, in fila fuori dal negozio, per comprare farina, latte, zucchero, col timore di controlli insensati. Nei suoi occhi non va più via l’angoscia di quella notte, proprio un anno fa, quando hanno diviso a metà la nostra casa e io e la mamma ci siamo trovati a est, trattenuti con la forza. Mio padre invece è rimasto a ovest, era al lavoro. Spero che il mio biglietto gli sia arrivato. Vorrei solo raggiungere Checkpoint Charlie, dove gli ho dato l’appuntamento, e dare un’ultima carezza alla sua faccia preoccupata.
Io però non posso muovermi, perché mi trovo nella terra di mezzo, in un abbraccio definitivo con il filo spinato. Sono caduto all’indietro, mentre cercavo di arrampicarmi sul muro. Ho sentito uno schiocco e un dolore inspiegabile al bacino. La volontà non ha più retto e si è spezzata insieme alle mie ossa, perché mi hanno sparato.
Ora non soffro più, ma riesco a pensare e, forse, posso ancora essere Peter per qualche altro minuto, per raccontare che è il mio sangue che sta pitturando la rete di filo spinato, con un magnifico rosso. Da qui vedo piccoli rombi di cielo, oggi è del più bell’azzurro che io mi ricordi. Mi spiace proprio lasciarlo e abbandonare questa terra che mi è rimasta sotto le unghie.
Ho appena compiuto diciotto anni in questo assurdo 1962 e ora mi trovo, insieme al crudele sole d’agosto, nella striscia della morte, così la chiamano, dove chi vuole scappare può vivere o morire. Basta un piccolo scarto del destino e la vita diventa vita, oppure diventa morte.
A me è andata male. Dalla torretta, al di là del muro, spunta una macchina fotografica che sospende la mia fine in un misero scatto. Sono ancora Peter, ancora per poco, voi non potete sentire i miei pensieri, ma, per favore, ricordatevi della mia morte. Anche se gli anni passeranno, anche se la rete e il muro cadranno.
Di me rimarrà questa foto che dice: sono Peter Fechter, un giovane che voleva la Libertà e ha solo un’ora per morire.

Foto dal web

Come è nato il romanzo “Ladra di mamme”


Molti anni fa ho aperto questo blog in cui raccontavo, a puntate, le vicende di una bambina che aveva perso la mamma. La storia, con il passare del tempo, si arricchiva di episodi e, dopo averci pensato su, aver fatto un movimentato brain storming, durante un corso per scovare i miei obiettivi, ho deciso di farne un romanzo.
Ho copiato e incollato, tagliato e cucito, ma mi sono resa conto che non funzionava ancora.
Così ho iniziato a fare corsi di narratologia, a studiare manuali, ad ascoltare ore e ore di spiegazioni di editor su YouTube, podcast e, più imparavo, più mi rendevo conto di essere lontana da un romanzo compiuto.
Finché non è apparsa dal cielo una creatura magica, sotto le vesti di una beta reader, che mi ha letto l’opera e mi ha dato preziosi consigli per migliorarla. In realtà era una editor, ma questo me lo ha detto dopo.
È quindi scoppiato l’amore e ho deciso di intraprendere con lei un percorso di editing del testo, che mi ha permesso di ottimizzarlo.
Nonostante questo, non mi convincevo a contattare una casa editrice.
Il percorso con le case editrici è lungo, difficile. L'autore non può decidere il titolo e non può quasi mettere becco neanche sulla copertina, cose giustissime, ma è un vero dolore per chi scrive.
Allora, pensa che ti ripensa, mi sono detta: sono alle prime armi, è bello scoprire mondi nuovi e, come Sandokan, ho deciso di andare all’attacco di nuovi orizzonti e di provare il self publishing. Un percorso non ancora molto comune in Italia, ma che spopola nei paesi anglofoni.
Sono quindi approdata su Amazon KDP, un mondo incredibile e tutto da scoprire, che riserva tante belle sorprese.
Da quando ho pubblicato, dopo un grandissimo “calcio nel sedere” della mia editor, che mi ha letteralmente catapultata nel mondo degli scrittori, non ho ancora smesso di vendere la mia piccola opera e, presa dall’entusiasmo, ho finito la seconda. Tra poco sarà in revisione dalla mia editor.
Curiosità: la sedia Chesterfield che vedi sopra è simile a quella su cui siede Elenia, la protagonista di Ladra di mamme, quando scrive. L'aveva trovata nella cantina di nonna Fedra. Aveva solo un difetto.
Se hai letto il romanzo te lo puoi ricordare, se no... non ti resta che andare a curiosare.
Per pochi giorni Ladra di mamme è in super offerta in versione e-book. Gratuito su Kindle Unlimited.

Ecco un indizio sul prossimo romanzo: La scelta di Artemisia, che è collegato al primo:

Prima dell’azione, c’è il sogno
Walter Bonatti

Intervista all'autore Elio Di Maio

 


1 Perché hai scritto il tuo romanzo: “Se corri più del destino”?
Perché ho sempre creduto di avere talento con la penna. Ho così voluto verificare se questa mia impressione fosse vera o meno, sottoponendomi al giudizio del pubblico.
Volevo anche condividere le mie fantasie e suscitare emozioni nel lettore. Ogni volta che leggevo un libro, sentivo una vocina che mi diceva: ‘Che bello, quanto è emozionante, perché non lo faccio anch’io?’

2 Nel libro hai inserito qualche cosa di personale o è tutto inventato?
Se dovessi metterlo in termini di percentuali, posso dire che un buon ottanta per cento nasce dalle mie esperienze. C’è una parte del romanzo che parla proprio di me, ma non svelo quale, lascio spazio all’intuizione del lettore. Si tratta di un personaggio che… sono io!

3 Perché un lettore dovrebbe acquistarlo?
Il libro, a mio avviso, dovrebbe essere acquistato da chi ha un’anima da ‘ramingo’, hai presente quei pionieri che vanno alla ricerca del nuovo? Io ho utilizzato uno stile di scrittura particolare che non ho ritrovato in altri testi che ho letto. Questo romanzo potrebbe interessare a chi ama l’avventura, l’amore, il thrilling. A lettori che non si limitano a determinati generi, che sono disposti a uscire dalla loro comfort zone, che sono disposti a sperimentare.

4 Nel tuo modo di scrivere, cosa c’è di innovativo?
Ho realizzato un continuum tra discorso diretto e indiretto, senza l’utilizzo dei dialog tag, cercando di realizzare un trait d’union originale tra i due momenti della narrazione.
Il racconto è gestito, in molte parti, dalla voce della coscienza del personaggio, questa è una scelta più comune, ma io ho cercato di personalizzarla, utilizzando un mio stile che credo sia facilmente riconoscibile.

5 Tu sei uno psicologo: psicologia e scrittura, possono avere qualche cosa in comune?
Ovviamente sì, anche in un testo di narrativa. I miei personaggi sono connotati da profili psicologici ben delineati e facilmente distinguibili uno dall’altro. Con l’aiuto della psicologia ho definito diversi tipi di relazione tra i personaggi, per poter conferire loro delle proprietà emotive differenti, sia in termini di contenuti che di profondità delle relazioni.

6 La tua vita in poche parole.
Potrei scegliere la fenice per rappresentarmi, un animale mitologico che conoscono tutti, in grado di rinascere dalle sue ceneri, di innovarsi nello splendore della sua magnificenza. La mia vita può essere paragonata a questo ‘risorgere’ della fenice. Ad un certo punto io mi sono trovato a un bivio e ho scelto di risorgere.

7 Come reagisci alle critiche?
Dipende, se la critica è costruttiva la prendo di buon grado e la interpreto come spunto per migliorare. Infatti, nella stesura del libro, ho potuto collaborare con più persone che mi hanno dato ottimi consigli, indispensabili per poter arrivare dove i miei occhi non riuscivano a osservare. Invece non digerisco bene la critica gratuita, fine a se stessa, che ha scopi diversi da quelli di evidenziare effettive mancanze.

8 Cosa vorresti fare ‘da grande’? Parlaci del tuo ‘vero volere’.
Voglio migliorare sempre di più le mie competenze in ambito psicologico, per poter aiutare, in maniera professionale e competente, le persone che si rivolgono a me.

9 L’esperienza più bella che ti ha regalato la scrittura.
La scrittura mi ha regalato serenità. Il suo valore terapeutico è ampiamente riconosciuto anche in ambito clinico. Posso sottolineare il fatto che il ‘premio’ più grande che ho ricevuto, deriva dall’affetto delle persone che mi hanno inviato feed back stupendi, dopo aver terminato la lettura del romanzo, e hanno voluto condividere le loro emozioni con me. Quindi, il contatto con il lettore, è stato davvero un’esperienza bellissima.

10 Cosa vorresti che ti chiedessi?
Questa è una domanda da psicologo. Perché molto spesso, in terapia, si cerca di far sì che sia il cliente a ‘condurre le danze’, anche attraverso questo tipo di domande, che servono per stabilire un focus terapeutico.
Forse potrebbe essere: scriverai un secondo libro? Ci sto pensando, perché la scrittura è un vero e proprio mestiere, al quale è necessario dedicarsi anima e corpo, io la considero una vera e propria professione, con la P maiuscola. 
Per ottenere risultati professionali è necessario dedicare, quotidianamente, diverse ore per stendere il testo e per correggerlo. 
Ora devo ricaricare le batterie, perché la scrittura del primo romanzo è stata impegnativa, molto coinvolgente. Più avanti, se riuscirò a incastrare gli impegni professionali con la mia motivazione, potrei progettare un nuovo libro. Ogni tanto ci penso, prendo appunti… e magari, da quelle ceneri, emergerà la mitica fenice.

Occhi neri - giallo

Accidenti, sono in ritardo anche stamattina. In clinica, se non timbro in orario, sono menate.
Non ho sentito la sveglia. È in camera e la nostra camera da letto è ancora sigillata con il nastro delle forze dell'ordine. Non posso entrare.
La notte sul divano è stata un incubo. Troppo scomodo. Ingoio il caffè, acchiappo lo spolverino rimasto a terra da ieri e sbatto la porta.
L’ascensore è occupato, scendo di corsa per le scale, finisce che mi trovo in fondo con qualche osso spezzato. Proprio ora che le cose stanno andando come voglio io.
Spalanco il portone e mi trovo davanti un muro di persone.
Brandiscono in aria i cellulari, qualcuno impugna, con una mano sola, una macchina fotografica che ondeggia sulla folla.
Mi guardo dietro alle spalle, non c’è nessuno. Vuoi vedere che sono qui per me?
«Alfonso, guarda di qua! Hai dichiarazioni da fare?»
«Girati! Cosa provi?»
«Chi ha ucciso tua moglie?»
«Sapevi che ti tradiva?»
Punto la testa in avanti come un ariete, stringo i gomiti al busto e procedo tra braccia, gambe, borse e scarpe colorate. Prendo qualche colpo, ma la mia mossa funziona. Una volta superata la barriera, mi metto a correre, i giornalisti, spiazzati, perdono qualche secondo per girarsi, riformare il blocco e iniziare l’inseguimento.
Mi lancio per le scale della metro, oggi solo scale in discesa. Un treno ulula in galleria, aumento la velocità, eccolo, le porte si aprono. Come sono lente oggi. Salto su e crollo su un seggiolino puzzolente, mi sa che qualcuno prima di me si è pisciato addosso. Ma oggi me ne frego proprio.
Guardo davanti, oltre il vetro, la locandina gialla del quotidiano locale strilla:



Ripenso alla sua bocca aperta, ai suoi odiosi occhi neri increduli, alle mani che stringevano il lenzuolo.
È morta in pochi secondi, dopo la punturina che le ho fatto sul tallone, mentre dormiva. Poi l’ho spogliata, l’ho incatenata al letto con le vecchie manette che avevo trovato in cantina e ho chiamato la polizia.
«Aiutatemi, sono appena tornato a casa, mia moglie è ammanettata al letto, senza vestiti, non respira, aiutatemi presto, via Costa 12. Sì, sono un infermiere, so prestare il primo soccorso, ma lei non respira, aiuto!»
Davanti a me un bambino, seduto tra i genitori, mi spara in faccia i suoi occhiacci neri, con lentezza alza un dito accusatore e rimane lì, a fissarmi con il suo dito in aria.
Mi schiaccio contro al sedile, cerco gli occhiali da sole per ripararmi da quegli occhi neri.
Ancora lei.

Gara SESE su FB