19 - Una sorpresa tra i grattacieli e fine del viaggio - Road Trip dalla Route 66 al Pacifico

Capitolo 19


Ormai è buio sulla baia di San Francisco.
Il Golden Gate Bridge da una parte e il Bay Bridge dall’altra si riflettono come stelle nell’Oceano Pacifico, con le loro luci e i lampioni.
Sul lungomare centinaia di persone, moltissimi sud americani, munite di gadget illuminati, borse piene di cibo, tavoli e sedie da campeggio si appostano per assistere ai fuochi di Capodanno che verranno sparati sul mare proprio davanti all’ingresso del nostro hotel.
Gli ambulanti, offrendo ai passanti occhiali con la scritta 2025, si moltiplicano, presentando giochini luminosi che saltano, girano, volano, rotolano tra le gambe della gente. 
I chioschi di hot dog e verdura fritta emanano un profumo che si impadronisce dell’intera passeggiata.
Ogni pochi metri si appostano agenti della polizia in divisa, il Pier con la centrale Fire Boat è decorata con fili colorati e intermittenti, sulla soglia staziona una splendida auto dei Vigili del Fuoco di un rosso fiammante e lucido.
L’atmosfera è allegra, nessuno beve alcol, è severamente vietato, nessuno fuma. La disciplina della folla è stupefacente, niente cartacce in terra e nessun botto.
Camminiamo lentamente, assaporando gli ultimi minuti dell’anno, senza fare resoconti o progetti, godendo della brezza del mare e di quella piacevolezza semplice e giocosa.
Osservo i passanti e gioco a creare storie, partendo da una mezza frase acchiappata al volo, da un gesto, da un atteggiamento. Le vite si intrecciano, si incontrano, si scontrano in un’infinità di narrazioni che vorrei fermare sulla carta. Ma ogni cosa ha il suo tempo, e ora posso permettermi di non fare nulla, se non aspettare il nuovo anno dall’altra parte del mio mondo.
Alcuni motociclisti passano impennando, sembra che si stiano sfidando pericolosamente, auto con i finestrini aperti scatenano sonorità trap. La strada viene chiusa al traffico, alle ventitré e trenta iniziano i fuochi.
Ci assiepiamo fuori dall’hotel, insieme ad altri avventori sconosciuti. Le luci brillano nel cielo e scoppiano in mille riverberi, assordanti, esagerate. Se non fossimo consapevoli di essere negli States, potremmo trovarci in un qualsiasi lungomare ligure. 
Aspettiamo la mezzanotte guardando tra cielo e mare, un po’ stanchi, un po’ storditi. Finalmente qualcuno fa il conto alla rovescia e scocca il passaggio dal 2024 al 2025. Silenzio.
Noi quattro ci abbracciamo, ci facciamo gli auguri. La famiglia è un vero regalo e penso che, anche se la fatica è tanta, in questi momenti comprendo quanto sia importante, anche per me.
Ci ritiriamo subito nelle nostre stanze esausti e felici di avere la camera a pochi metri, pronta per accoglierci. Come noi, molti rientrano e vanno a dormire. Un ultimo brindisi al nuovo anno con la birra avanzata e… Buonanotte!
La colazione in hotel è semplice ma buona, partiamo a piedi per andare a vedere i famosi leoni marini. 
La città è deserta, gli addetti alle pulizie stanno lavando le strade che sono già abbastanza in ordine, se penso alla folla di ieri sera e alla festa che ha avuto luogo.
Camminiamo nell’aria pulita, frizzante e luminosa del mattino, nel silenzio interrotto solo dal mare e dal vociare dei gabbiani. Raggiungiamo il Pier più famoso: il numero 39.
Si tratta di un’area turistica e commerciale costruita su questo molo negli anni Settanta. Giriamo sulla banchina di legno, tra negozi e ristoranti che aprono con calma.
Sui pontili alcuni leoni marini si fanno fotografare, sfoggiando i lughi baffi, gli occhi a mandorla e i corpaccioni abbandonati al sole oppure, dondolandosi sornioni, con il nasino puntato verso il cielo.
Prenotiamo un tour dell’Isola di Alcatraz con la barca Bay Cruise che sembra aspettare proprio noi. 
Si parte e lo skyline di San Francisco appare in tutta la sua bellezza, aggraziato, con i parchi verdi, le strade che sembrano piste senza neve, i grattacieli, la ruota panoramica, i cormorani un po’ goffi che zampettano su un molo.
Ci allontaniamo e un enorme gabbiano sorvola la barca, è molto vicino, si posa a prua e ci guarda con aria di sfida. 
Passiamo sotto al Golden Gate Bridge, ci dirigiamo verso la prigione di Alcatraz, l’isola è grande e un po’ sinistra. Penitenziario federale dal 1934, quando vennero ospitati i primi centotrentasette detenuti, tra ladri di banche e assassini, per ventinove anni vide sfilare personaggi come Al Capone. Famoso per l’estrema durezza con cui venivano trattati i prigionieri, per lo più pericolosi, e per i rocamboleschi tentativi di fuga, chi non ricorda il celebre film Fuga da Alcatraz, girato proprio sull’isola, con il grande Clint Eastwood.
Finito il giro in barca prendiamo una Waymo, qui le auto senza conducente circolano da diversi anni e possiamo stare tranquilli. Gentilmente ci porta al Golden gate Park, vediamo il parco giapponese, mangiamo qualche cosa di veloce su una panchina e ci facciamo trasportare da un’altra Waymo nella China Town. A me non interessa molto, e infatti non trovo niente di meglio che in tutti gli altri quartieri cinesi visti in altre città. Trovo le strade piuttosto sporche e sinceramente non vengo folgorata da alcuno spunto.
A piedi ci dirigiamo a Union Square, piena di gente che si gode il primo giorno dell’anno pattinando sul ghiaccio. 
Attendiamo la sera per prendere un bus e fare il giro di San Francisco di notte con le sue luci natalizie, i due ponti che percorriamo ben intabarrati, comodi nella parte superiore del bus, facendo svolazzare le sciarpe, arrivando fino all’Isola di Yerba Buena.
Il nostro viaggio è quasi finito, andiamo a dormire con questa meravigliosa città nel cuore, una delle più belle tra quelle degli USA che abbiamo visto fino ad ora e individuiamo un ultimo giro per domani mattina, prima di andare in aeroporto e affrontare il lungo rientro con scalo a Monaco di Baviera.

Oggi c’è il sole, è il due di gennaio, quando le feste passano mi sento bene, come se avessi adempiuto a un compito difficile. Tiro un sospiro di sollievo e sono lieta di lasciarmi alle spalle i festeggiamenti che tante volte sono stati dolorosi. 
Ma il passato è passato, adesso prendiamo un ascensore e, quando si aprono le sue porte, ci troviamo in un grande parco in cima ad alcuni edifici modernissimi. 
L’effetto sorpresa è assicurato, quando mai mi è capitato di accedere a un parco con l’ascensore?
Qui è tutto grande e impressionante, si fa fatica a capire che ci troviamo al quarto piano e che i viali, gli alberi enormi, i fiori, il bar, le fontane, le panchine, i prati si trovino tra i grattacieli.
Non si tratta di un parco di quelli dove andiamo noi con i bambini piccoli, ma di un vero, grande parco americano, in cui si fa yoga, si balla, si corre tra i ginkgo biloba, le palme, gli aceri gli abeti.
Non mancano le curiosità: una fontana viene attivata dal tram che passa a pianterreno. Infatti, quando si sente in lontananza il suo clangore, ecco che alcuni getti di acqua si alzano in successione, formando quasi una danza. Il Bus Fontain registra i movimenti dei bus sottostanti, attivando l’acqua al quarto piano. Una colonnina spiega il meccanismo che trovo divertente e spettacolare.
Il bar è pieno di tavoli fuori e dentro, prendiamo un caffè e torniamo sui nostri passi: è quasi ora di partire, i bagagli ci aspettano in hotel.
Mi prende uno dei miei magoni da nostalgia acuta che si scatena ancora prima che un evento finisca. Raccolgo da terra una foglia di ginkgo biloba dorata, la stendo per bene nella custodia del cellulare.
Una volta a casa ripercorrerò questo viaggio con i miei scritti, le foto, i ricordi che mi sono portata dietro.
Cammino sola davanti ai miei famigliari, quando un rumore, come un frullare di ali, accompagnato da un pigolio, attirano la mia attenzione. 
Ci fermiamo tutti, gli occhi stretti, immobili, ma cosa sono quei piccolissimi animali che svolazzano alla velocità della luce, che rimangono sospesi per qualche secondo, il becco lungo che si infila nei fiori… ma sono i colibrì. Al quarto piano?
Sì, proprio loro, che hanno trovato in questa oasi verde la casa ideale. Sono così piccoli che peseranno pochi grammi, le piume iridescenti, un suono dolcissimo.
La mia mente da autrice corre verso il significato simbolico del colibrì: libertà, gioia, leggerezza, felicità, rigenerazione, abbondanza e amore. Secondo i nativi americani questo grazioso uccellino incarna uno spirito in grado di aiutare e curare le persone in difficoltà. E, soprattutto:
il colibrì simboleggia l’Infinito.
È quindi perfetto per concludere questa esperienza, incarnando proprio tutto ciò che ho vissuto in questo favoloso viaggio di famiglia, in cui spero di aver portato un po’ anche voi, cari Lettori che avete avuto la pazienza di arrivare sin qui, tra le meraviglie di San Francisco.