Il viaggio per me si sta trasformando e mi cambia.
Dalla sete di opere d'arte, piazze, case, monumenti sono passata alla ricerca di momenti speciali.
La cornice di una città meravigliosa come Parigi aiuta.
Questa volta siamo partiti con l' intento di far conoscere la Ville lumière ai nostri figli. Abbiamo scelto un hotel confortevole e i punti più interessanti da visitare.
Negli ultimi anni trovo la città trascurata, vedo soprattutto decine di clochard senza speranza che si aggirano come larve nei sotterranei puzzolenti della metro.
Quando tutto è perduto si accasciano ubriachi dietro ai sedili, ricoperti di stracci. Scendiamo per prendere il prossimo treno. Un odore terribile ci investe con l'aria calda che si scontra con il vento esterno. Il personale della metro sta pulendo cose inenarrabili. Qualcuno ha spruzzato una bomboletta di lavanda. Il ribrezzo si scontra con la pena.
Proviamo a ragionare su come si potrebbero gestire queste cose. Entriamo in un circolo vizioso fatto di solidarietà, paura, repulsione. Non troviamo alcuna soluzione e cambiamo discorso. Camminare tutto il giorno tra queste persone che furono persone non fa bene al cuore. Viene un po' di malinconia mista a senso di colpa.
Negli infiniti corridoi dove tutti marciano a ritmo sostenuto vedo due ragazzine, sicuramente minorenni, sedute su una grande coperta. Si apprestano a trascorrere la notte nella metro. Mentre cammino verso la prossima meta mi giro a guardarle per essere sicura di aver visto bene.
E capita un evento inaspettato: un giovane, passando, senza neanche guardarle, allunga un pacco bianco e lungo, proseguendo la sua traiettoria verso la metro.
Le ragazze lo accolgono e, senza aprirlo, lo posano di lato. Chiedo a mio marito di cosa si possa trattare. Lui sicuro risponde: due baguette.
Dietro di noi, in attesa del prossimo treno, un signore di colore dall'aspetto imponente. Sarà alto quasi due metri, indossa un cappello a larghe falde e una cravatta rossa un po' allentata. Sembra un pugile a riposo che ha deciso di suonare il sax. Fantasie da sotterranei. Una signora gli chiede informazioni, lui si apre in un bel sorriso e parla.
Un odore forte e sgradevole ci avvolge. Mi sento male e mentre mi lamento vedo due persone che si abbracciano dondolando senza smettere, ignare della puzza della metropolitana. Le osservo scorrere così, in un abbraccio musicale eterno, mentre il mio treno ignaro parte.
Nella hall dell'hotel ci accoglie un giovane italiano.
È professionale e gentile, si interessa al nostro viaggio. Si vede che è felice di parlare la sua lingua madre. È di Napoli, tra un paio d'anni ha in progetto di andare a lavorare in Spagna. Abita a Montmartre e ci suggerisce cosa visitare.
Il Louvre è un'esperienza immensa. Rivedere alcune opere come la Nike di Samotracia mi fa sentire parte completa dell'universo, a contatto con il passato più lontano. Siamo polvere di stelle.
Nel caos della gente che si accalca sulla metro, tra occhi che leggono, guardano nel vuoto, scrutano, osservano, ecco un angelo. Chi l'avrebbe mai detto. Alza gli occhi dal suo telefono e mi guarda. Questo è il segnale. Poi scompare. Il giorno dopo ne scorgo un altro. Stessa sequenza. Mi sento protetta. Andiamo a cena in un locale storico consigliato da amici. Si chiama Le Procope ed è stato fondato nel '600 da un italiano. All'ingresso campeggia il cappello di Napoleone, nero e vero nel suo splendore.
Nella toilette anziché signora e signore c'è la scritta cittadina e cittadino, in onore della Rivoluzione. Solo che qui si danno tutti un sacco di arie e di uguaglianza non se ne vede.
Le cameriere sembrano gran dame che ti squadrano con sufficienza. Signorina: lavori in un bel posto ma non sei Maria Antonietta! Che non ha neanche fatto una bella fine. Si mangia bene, troppa luce per me ma i ricordi dei tempi che furono appesi alle pareti meritano. Si dice che qui siano passati Voltaire, Danton, Robespierre e fa un certo effetto sapere che hanno vissuto le stesse mura che contengono anche noi.
Il passaggio dai libri di scuola un po' neutri ai luoghi vissuti è sempre potente.
Un Babbo Natale esausto è sdraiato in mezzo alla strada col suo berretto di traverso. Si vede che ha bevuto molto e delira, inconsapevole del mondo che gli scorre accanto. Non ho il coraggio di fotografarlo.
Alla Tour Eiffel decine di ragazzoni di colore tintinnano torri di ogni forma, materiale e colore appese ad anelli. Ti vengono incontro con sorrisi smaglianti.
Dalle casette di legno partono odori forti di fritto, vino caldo, salsicce e patate. Non resisto e per pranzo mi rifocillo di schifezze.
Lunga coda, esposti al vento, per raggiungere l'ingresso del Musee d'Orsay.
Un efficace punto di ristoro ci rassicura con croissant dolci. L'orologio della vecchia Gare è splendido e magico. Non esito a fotografarlo da vicino e da lontano. Le statue di marmo palpitano sotto la luce morbida. Aspetto che prendano vita.
La sezione degli impressionisti fa girare la testa e l'anima. Gli interni art noveau sono sorprendenti tra fiori, intarsi e legni pregiati.
In albergo, fuori da una camera vicina alla nostra, due bottiglie di champagne Mumm vuote. Ognuno si diverte come può.
Un uomo dall'aspetto mediorientale cammina sgranando un Rosario di legno. Prega senza sosta.
Sul battello personaggi degni di attenzione: un giapponese tutto firmato con borsa Louis Vuitton è fiero di sé, la sua compagna gira con babbucce nere e pon pon di pelo.
Un corpulento omaccione si dona al pubblico indossando con noncuranza un cappellino rosso coperto di paillette.
Un vero zar dagli occhi di ghiaccio sfoggia il colbacco ed il pastrano. Ma quando se li toglie diventa un comune vecchietto. Una ragazzona dal cappotto rosso sventola capelli rosa.
Mi stanco. Ma sentire la mia famiglia intorno, legata da un filo misterioso fornisce energie per gustare questo viaggio straordinario.
Sono in aereo tra le nuvole. Dal finestrino vedo passare una cosa luminosa e bianca che si tuffa nella città.
Sarà diretta alla metro per salvare un'anima persa, nascosta dietro ai sedili.
Foto GiBi