Expo 2015: se nel passeggino vedi il palloncino dell'Happy Meal


Mi chiedo come mai amici e conoscenti dicano: Expo? Sì, ci andrò più avanti, con un luccichio sinistro nello sguardo. Credo che facciano bene.
Io ci sono stata poco dopo l'apertura, nei primi giorni.
Ho aspettato a scrivere perché sui giornali non vedo altro che pagine entusiastiche e mi sento un po' un gufo a parlarne così così.
Essendo a Milano per lavoro, abbiamo optato per il biglietto serale: 5 euro e ingresso alle ore 19. Anche arrivando prima è necessario fare una lunga coda: i metal detector aprono con precisione svizzera alle ore 19, causando un ritardo italiano di quasi un'ora.
Raggiunta la rampa, dopo aver attraversato lo sbarramento, essersi provate creme e profumi contenuti nella borsa, aver tolto borchie, cinture e bigiotteria, aver bevuto un sorso d'acqua dalla propria bottiglietta, casomai fosse un potente veleno, crepi lì subito e impari a fare la terrorista, si giunge dopo ben più di un'ora al Pavilion Zero. Un' imponente costruzione in cui siamo potuti entrare solo la seconda sera perché la prima volta era bloccato causa l'italianissima visita dell'ex Presidente della Repubblica. Li mortacci sua.
Qui si viene accolti da una grande biblioteca o forse no, con centinaia di cassetti finti ma tutti di legno vero e da un enorme albero finto che esce svettante nel cielo, ma sembra proprio vero.
Si passa in una stanza dove svolazzano frutta e verdura, immagini in movimento su pannelli appesi al soffitto. Intorno semi e semini di ogni colore creano una parete variegata di grande effetto cromatico. Da lì si sbuca in una sala inquietante popolata da bianchi animali di gesso a grandezza naturale (si prega di non toccare). La sala successiva è gremita di oggetti cari all'agricoltura, suggestivi e abbandonati. Poi, viaggiando nel tempo e nello spazio, si può osservare come il triste villaggio dell'uomo primitivo si è trasformato in una triste metropoli, con il passare dei millenni.

La sala dedicata al variare del costo degli alimenti nel mondo inebetisce quanto basta e ti porta carinamente in una vera e propria discarica finta ma ben confezionata, dove il visitatore, in una catarsi collettiva, può addolorarsi in santa pace e senza puzza, vedendo gli schifosi esiti dei suoi rifiuti.
Ci consoliamo guardando un Choko Kebab, le sculture e le fontane di cioccolato, i sedili della Lindt fatti a cubetti che vorresti mordere ma sono di plastica.
Un gruppo di veri o finti arabi vestiti di bianco ci sorpassa e poi si mette in posa per le foto con i turisti.
Una signora con in testa un enorme cappello di fiori cammina veloce.
Ed ecco "l'Albero della Vita", soprannominato "Il Giugrò" da Ro, (solo chi conosce il dialetto ligure può capire). Parte lo spettacolo con luci, suoni, giochi d'acqua e colori, si rimane un po' spiazzati, è bello, coinvolgente, non so perché temo che il Giugrò parta come un missile da un momento all'altro. Saremo sicuri del lavoro frettoloso di tanti operai chissàcomepagati? Lo spettacolo termina senza drammi, ma circola voce che una signora sia stata colpita alla testa da un pezzo di ferro caduto da una struttura non lontano da qui. Devo preoccuparmi?
Un turista sfoggia una sacca con scritto: "Only the brave". Cosa avrà voluto dire?
La madonnina d'oro finto si staglia nel cielo, a ricordare che siamo a Milano.
Gli stand chiudono presto, alla sera alle 21 bisogna perdere ogni speranza e dedicarsi solo al cibo. Infatti i ristoranti caritatevolmente tengono aperto fino alle 23. Forse.
Ci rifugiamo da Eataly dove ristoratori di tutta Italia friggono e cuociono nella migliore armonia di gusti e profumi di tutto il mondo. Lo voglio dire.
Il Nepal fa rimanere male. Noi siamo in un baraccone dove denaro, cibo e mattoni si sprecano, mentre loro solo là che combattono sotto alle macerie.
Il Vietnam è originale con le sue canne al vento, la Gran Bretagna fa sdilinquire tra il prato con i fiori veri e fioriti, l'alveare tecnologico con le lucine e le gocce di cristalli.
Per capire la risaia e i suoi specchi ci vuole lo spiegone, ma andiamo avanti che chiude.
Ci infiliamo nella Lituania in omaggio a una nostra cliente, tutto carino e originale.
Il padiglione Italia è chiuso e sembra non terminato.
Un trattore in pendenza su un prato verdissimo ci minaccia, ma sta fermo, si vede che è ben ancorato.
"The great american foodscape" è proprio una cavolata. Ti fanno entrare tra mille salamelecchi in un corridoio in cui sono proiettati video su cosa mangiano negli USA. Ne farei volentieri a meno. Fuggiamo sperando di trovare l'uscita senza essere trattenuti da americani entusiasti.
Però la tenda d'acqua che cambia gli effetti speciali è molto avanti.

Passeggino. Dentro non vedo il bebè ma un grosso palloncino dell'Happy Meal… O tempora, o mores!
La Ferrero fa cucù da tutte le parti, come le attrezzature da ginnastica che, memento mori, ti fanno pensare che se mangi troppo poi, come minimo, devi fare sport.
Saliamo sulla rete del Brasile, si oscilla terribilmente e quando si scende si continua a ciondolare come dopo una tempesta in barca. Non ne vedo l'utilità. Ma ha un significato che ora mi sfugge. Sotto c'è una stanza bianca con piante di plastica verdi appese al soffitto.
Una navetta fantasma come il bus di Harry Potter "Nottetempo" sfreccia (a volte) per il viale desolato. L'orario è incerto. Una piccola folla si accalca nella speranza di tornare a casa a un'ora decente. Beviamo una birra un po' sfiniti e un po' storditi.
L'immenso baraccone si spegne alle nostre spalle.
Tremo al pensiero di cosa ne sarà di tutto questo al termine dell'ultima notte, quando i giornalisti non si diletteranno più a trovare significati negli strambi edifici che si arrotolano nel cielo grigio di Milano.

Foto GiBi