Le storie sono già state tutte scritte, ma è lo stile dell’autore a rendere una storia unica.
E questo racconto mi ha davvero stupita, incantata e cullata, perché i protagonisti sono due gemelli ancora nella pancia della mamma che, con il passare delle settimane, scandite dal susseguirsi dei capitoli, acquisiscono consapevolezza attraverso le loro terminazioni nervose, il DNA, i fili misteriosi che uniscono le creature viventi, potenziando sensazioni, intuito e ricordi.
Nella mente di questi feti l’universo e la natura si rivelano in tutta la loro complessità e mistero, sostenuti dalle persone coinvolte: in primis i genitori, ma anche zie e avi, quasi inconsapevoli eppure sempre più partecipi nell’esistenza di due nuove vite.
La narrazione è piacevole e spesso poetica: sembra quasi di poter respirare quell’atmosfera ovattata e confortevole in cui galleggiano i gemelli. Nei lettori, infatti, riaffiora un ricordo atavico di quel benessere mai più provato, una volta nati.
Grazie alle sensazioni dei gemellini e a ciò che accade ai genitori, la storia diventa concreta, spingendo a riflettere su quanto possiamo trasmettere, anche involontariamente, a creature non ancora interamente formate.
Solo la sensibilità di un medico che vive a stretto contatto con i bambini (l’autrice è pediatra) poteva regalare un racconto così intenso, capace di trasportare il lettore in un universo parallelo: quasi una regressione intrisa di beatitudine, ma anche di improvvisi terrori.
La nostra strada inizia da lontano e forse proprio lì possiamo ritrovare il nostro vero essere, le paure, i desideri, quelle sensazioni spesso inspiegabili che ci conducono verso situazioni irresistibili che ci attraggono, o eventi che ci respingono, riempiendoci di beatitudini o di ansie apparentemente immotivate.
Un romanzo quasi filosofico, che invita a riflettere dolcemente sulle origini dell’uomo e dell’universo, sul ciclo vitale e sulle impressionanti connessioni con la Natura.
Alcune domande all’autrice, Patrizia Gaslini:
1) Com’è nato il mondo di Jimmy e Ji? C’è stato un episodio, un’immagine o un’emozione precisa che ti ha spinto a scrivere questo romanzo?
Jimmy e Ji sono affiorati dalla penna come una magia; due feti che raccontavano la loro storia, attingendo dalla mia. Più che un’emozione precisa, in quel momento una ferita precisa dell’animo me li aveva messi fra le braccia. Mentre li cullavo, cullavo me stessa; terapia e terapeuti di un malessere. Poesia versus rabbia, tenerezza versus amarezza, perdono versus odio.
Un’immagine precisa?
Anche! Un babypullman di neonati che percorre i corridoi di un reparto di ostetricia, diretto alle camere delle rispettive madri, una fila di piccoli esseri apparentemente uguali eppur già così diversi e unici, voci potenti per individui minuscoli e fragili, richiamo ancestrale all’attenzione e alla vita. E poi la domanda: perché dimentichiamo il grembo materno? In quel rifugio accogliente maturiamo consapevolezze? Sperimentiamo emozioni?
2) Jimmy e Ji sono due figure particolari: parla dei loro nomi e perché hai scelto il loro stato di feto per narrare la storia.
Jimmy e Ji sono due gemelli identici maschi; stesso sacco, stesso amnios, stessi geni. Ji è fragile; il suo cuore debole e imperfetto suscita in Jimmy un istintivo bisogno di proteggerlo, difenderlo, avvolgerlo, tenerlo stretto a sé, abbracciarlo, già dentro il suo nome: un solo guscio per due unità, un solo Jimmy per due Ji. Tenerezza, protezione del più debole, amore fraterno. Alla fine di cos’altro ha bisogno l’umanità?
Due feti e prima due embrioni e prima due cellule, che storia straordinaria la vita! Soffermarsi su questo mistero, anche solo per un attimo, disorienta, obbliga a riflettere e a farsi domande, le stesse che l’umanità attenta si pone da sempre. Intanto sua maestà la natura sorride di noi, delle nostre limitatissime conoscenze e dell’ingenuità delle nostre presunzioni. Immedesimarsi in un feto, forse è una delle tante, ma ha il fine preciso di cogliere di quella fase della vita altro che la meccanicità, l’anonimità, la superficialità, la scontatezza con cui viene studiata, definita, e infine vissuta. E allora i feti provano emozioni, possono collegarsi alle menti dei genitori, possono accedere ai loro ricordi, hanno angeli protettori scelti dalla natura ma inconsapevoli di questo ruolo, infine pensano?
Domande di medico, domande di essere umano.
3) Cosa vorresti che il lettore portasse con sé dopo aver chiuso il libro? Che messaggio vuoi veicolare con questa narrazione?
Non ho messaggi speciali, solo una raccomandazione: non lasciare che la scienza si appropri di tutta la verità. L’uomo, fin dai suoi primi attimi di vita è ben altro che una sterile sequenza di passaggi di biochimica, per quanto altrettanto importante e irrinunciabile per il progresso, ma un universo di interazioni che sfuggono alla logica e, ahimè, anche alla scienza. L’uomo non è solo un puzzle di organi, è una rete di connessioni senza fili, un’invisibile ragnatela d’informazioni. Da questa riflessione dovrebbe partire chi si prende cura delle malattie, chi ne è bersaglio, soprattutto una madre con il suo bambino non ancora nato.
4) Puoi raccontare un momento speciale o una difficoltà durante la stesura? Cosa ti ha spinto a terminare il romanzo e cosa ti bloccava?
Il momento speciale del romanzo?
I collegamenti-incontro di Jimmy e Ji con il padre, lo sforzo di poterlo vedere e conoscere e soprattutto l’amore così speciale di Ji nei suoi confronti.
Io sono il suo Ji.
Una difficoltà durante la stesura? Cosa mi bloccava?
La pena del suo ricordo vago, una figura sfocata nella mia memoria di bambina: una voce da immaginare, una fisionomia da ricavare dentro fotografie in bianco e nero, un contatto con la sua mano che non ho mai provato. Certa invece la sua passione per la montagna, certa la sua passione per il volo, reale l’aereo da cui, da dentro una cornice, sorride pieno di giovinezza e di speranze.
Avevo solo quattro anni e ancora oggi non sono riuscita a perdonare il destino che me ne ha ingiustamente e prematuramente privato.
Cosa mi ha spinto a terminare il romanzo?
La vita che va sempre avanti a dispetto della perdita, a dispetto del dolore. “Omnia vita vincit”.
Biografia: Patrizia Gaslini è nata a Milano e vive in un paese della sua provincia. Dopo gli studi classici si è laureata in Medicina, specializzandosi in Pediatria e Neonatologia. Pediatra di professione, si è avvicinata anche alle medicine non convenzionali, come l’Agopuntura, con uno sguardo aperto a discipline diverse.
Sportiva e salutista, è alla sua seconda pubblicazione. Per lei la scrittura è molto più di un hobby: è passione pura, rifugio e cura per l’anima. Lettrice instancabile, ama farsi sorprendere dai libri che la scelgono dagli scaffali.
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