Emma

Il primo e unico battibecco che affrontammo fu quando, ancora bambina, con mia sorella presentammo una conferenza sulle Barbie.
Ci eravamo preparate bene, avevamo fatto una lunga ricerca in biblioteca sulle origini della bambola americana e le conseguenti trasformazioni. Avevamo anche allestito diligentemente una piccola mostra, creando, per le nostre amate e numerosissime Barbie, ambientazioni diverse. 
La Barbie al mare, sul catamarano, a cavallo, nel camper, con Skipper (era la sorella più piccola o la cugina?), con Ken. Avevamo solo due Ken e una ventina di Barbie.
Io, timida ma combattiva, ero emozionata e determinata a fare la mia parte. 
Al termine della conferenza arrivò il momento delle domande. E qui entrò in gioco lei, senza tanti complimenti. 
Emma. 
Come un fulmine ci fece domande impertinenti, finalizzate a coglierci in fallo, forse  per testare il nostro grado di reazione o forse per divertirsi un po', differenziandosi dal resto del pubblico che ci riempiva di complimenti.
Mentre ci tartassava, ridacchiava con quel suo fare birichino.
Rimasi allibita dalla grinta della signora. 
Aveva l'ardire di scatenarsi contro due bambinette, forse per sdrammatizzare, forse per ridimensionarle. 
Io le risposi a tono, un po' offesa. 
E rimasi colpita.
Emma era l'eleganza in persona, mocassini, abiti dal taglio raffinato, gioielli di valore e un tocco leggero di rossetto. Aveva i modi della signora di classe, ben educata e istruita. Soprattutto intelligente. 
Ma ero affascinata soprattutto dai suoi affondi, dalla schiettezza con cui sparava le sue opinioni, incurante dell'effetto che produceva.
Alla fine mi fece un grande sorriso e capii di aver passato l'esame. Quel sorriso ebbe maggior valore di tutti i complimenti che arrivavano dalle altre persone presenti.
Capii che, anche se ci si impegna molto in un progetto, possono giungere, in modo inaspettato, imprevisti che scompigliano le carte. 
Compresi che, di fronte ad un attacco diretto, è possibile reagire e non ci si deve mai perdere d'animo perché a volte, quando tutto sembra andare per il peggio, un sorriso ti fa tornare a galla, aiutandoti a vedere le cose da un altro punto di vista.
Un giorno ci invitò nel parco della sua villa  per fare un servizio fotografico in costume ottocentesco, insieme a una sua bellissima nipote dagli occhi verdi. 
Ero molto eccitata e preoccupata. Ero giovane e non volevo fare brutte figure, ci tenevo alla forma e, di fronte a quella astuta signora di buone maniere, mi sentivo sotto esame. 
Andò tutto liscio, ci offrì caramelle che non accettai perché mi sembrava molto chic non cedere a tali bassezze.
In seguito la incontrai molte volte perché frequentava un'associazione femminile dove ci portavano spesso ad ascoltare conferenze.
Decisi che il contrasto tra l'eleganza innata e le maniere brusche e dirette era delizioso e, appena la scorgevo, cercavo di starle appresso per non perdere le arguzie che spargeva tra gli astanti un po' divertiti e un po' attoniti.
Volevo capire da dove proveniva la sua sicurezza, dove trovava la forza di essere se stessa, a costo di risultare impopolare.
Io che cercavo di farmi amare da tutti e mi facevo in quattro per essere gentile e piacevole.
Oggi, quando la incontro, mentre esce dal vialetto della sua villa, la faccio passare, lei, sempre altera con quel guizzo di ironia, non sa che l'auto che si ferma appartiene a me, alla sua devota ammiratrice.

Foto archivio GiBi