Occhi neri - giallo

Accidenti, sono in ritardo anche stamattina. In clinica, se non timbro in orario, sono menate.
Non ho sentito la sveglia. È in camera e la nostra camera da letto è ancora sigillata con il nastro delle forze dell'ordine. Non posso entrare.
La notte sul divano è stata un incubo. Troppo scomodo. Ingoio il caffè, acchiappo lo spolverino rimasto a terra da ieri e sbatto la porta.
L’ascensore è occupato, scendo di corsa per le scale, finisce che mi trovo in fondo con qualche osso spezzato. Proprio ora che le cose stanno andando come voglio io.
Spalanco il portone e mi trovo davanti un muro di persone.
Brandiscono in aria i cellulari, qualcuno impugna, con una mano sola, una macchina fotografica che ondeggia sulla folla.
Mi guardo dietro alle spalle, non c’è nessuno. Vuoi vedere che sono qui per me?
«Alfonso, guarda di qua! Hai dichiarazioni da fare?»
«Girati! Cosa provi?»
«Chi ha ucciso tua moglie?»
«Sapevi che ti tradiva?»
Punto la testa in avanti come un ariete, stringo i gomiti al busto e procedo tra braccia, gambe, borse e scarpe colorate. Prendo qualche colpo, ma la mia mossa funziona. Una volta superata la barriera, mi metto a correre, i giornalisti, spiazzati, perdono qualche secondo per girarsi, riformare il blocco e iniziare l’inseguimento.
Mi lancio per le scale della metro, oggi solo scale in discesa. Un treno ulula in galleria, aumento la velocità, eccolo, le porte si aprono. Come sono lente oggi. Salto su e crollo su un seggiolino puzzolente, mi sa che qualcuno prima di me si è pisciato addosso. Ma oggi me ne frego proprio.
Guardo davanti, oltre il vetro, la locandina gialla del quotidiano locale strilla:



Ripenso alla sua bocca aperta, ai suoi odiosi occhi neri increduli, alle mani che stringevano il lenzuolo.
È morta in pochi secondi, dopo la punturina che le ho fatto sul tallone, mentre dormiva. Poi l’ho spogliata, l’ho incatenata al letto con le vecchie manette che avevo trovato in cantina e ho chiamato la polizia.
«Aiutatemi, sono appena tornato a casa, mia moglie è ammanettata al letto, senza vestiti, non respira, aiutatemi presto, via Costa 12. Sì, sono un infermiere, so prestare il primo soccorso, ma lei non respira, aiuto!»
Davanti a me un bambino, seduto tra i genitori, mi spara in faccia i suoi occhiacci neri, con lentezza alza un dito accusatore e rimane lì, a fissarmi con il suo dito in aria.
Mi schiaccio contro al sedile, cerco gli occhiali da sole per ripararmi da quegli occhi neri.
Ancora lei.

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