Le madeleines di Proust… ma a Genova

Dentro a quel piccolo rombo, o losanga, come si vuole chiamare, si nasconde un velo di marmellata di fichi e limoni.
Sull’ostia si adagia un marzapane ripieno di sciroppo di zucchero.
Nei canestrelli è intrappolata l’acqua distillata di fiori d’arancio e, in superficie, croccanti palline di zucchero bianco ne contrastano la morbidezza.
Parole irresistibili che si vorrebbero mangiare, assaporare, succhiare, leccare.
Ma queste parole descrivono deliziosi dolci che una piccola pasticceria di Genova sforna dai primi dell’Ottocento.
Sto parlando di Romanengo, ovviamente.
Quando si ha a che fare con il cibo, spesso, attaccato al gusto, arriva un ricordo.
Quindi non mi resta che raccontarvi il mio.
Avevo una zia che abitava a Genova e per Pasqua mi portava sempre i cosiddetti Quaresimali.
In un vassoio avvolto da una carta bianca, legata da un nastrino chiaro, a sua volta ricoperta da una azzurra, con nastrino blu, fermata con semplicità dal marchio della pasticceria, si nascondevano scrigni di sapore.
Sento ancora il rumore dei quella carta piena di promesse che scricchiolava tra le dita, il nastro che scivolava via, il profumo di frutta che usciva dal pacchetto, il sorriso dagli occhi azzurri che mi guardava e si gratificava della mia piccola gioia.
Non sono attratta dai dolci, ma quel pensiero che da Genova, su un treno, tra le mani prudenti della zia per non rovinare la confezione, i Quaresimali arrivavano fino a me, mi rendeva perfino golosa.
E assaggiavo e mugolavo come un cagnolino felice. Non erano i dolcetti che gustavo, ma l'immenso amore della zia.
Pare che questi pasticcini risalgano al Cinquecento, quando le suore del convento di San Tommaso preparavano la pasta di mandorle senza burro, latte e uova, per rispettare il divieto di mangiare grassi animali, durante la Quaresima.
Un giorno la zia arrivò con un nuovo regalo da scartare: un libro. Era un giallo dal titolo: I cioccolatini di Soziglia, di Carlo Alberto Rizzi. Perché la pasticceria si trova in una piazza che ha quel nome, nel centro storico di Genova. Lo divorai, con lo stesso gusto che ci mettevo nel mangiare i Quaresimali, pensando che prima o poi mi sarebbe piaciuto vedere quel posto.
Desiderio esaudito. Una volta all’università, la zia mi accompagnò lì, per assaggiare una delle loro prelibatezze: le gocce di rosolio. Piccoli scrigni di zucchero liscio che, una volta rotti con i denti, lasciano uscire diversi tipi di rosolio al gusto di rosa, certosino, anice, curaçao, marasca, acqua amara, e viola.
Passarono gli anni e un giorno, una cara amica della zia che ormai non c’era più, mi fece una sorpresa e mi donò proprio i Quaresimali, che portarono con sé ondate di emozioni.
Gli anni passarono ancora e, con stupore, scoprii che la pasticceria Romanengo aveva anche un negozio a Milano. Ne parlai con mio figlio che abita là.
E ieri, l’altro mio figlio, al rientro da Milano, come un messaggero di prelibatezze, è sceso anche lui dal treno e mi ha consegnato il magico pacchetto.
L’accoglienza nel negozietto meneghino è stata eccezionale, con tanto di assaggi e racconti e sorrisi. Mio figlio ne è rimasto affascinato e credo che tornerà, forse con me, per fare nuovi acquisti.
A casa ho assaggiato tutto, ricordando, con emozione, quei profumi che si confondevano con la zia profumata e bella e dolce.
Non vi resta che provare queste delizie a Genova o a Milano, anche se vostra zia non ve le ha mai fatte assaggiare, anche se la sua amica non ve le ha mai regalate, anche se non avete un figlio che ve le compra e uno che ve le porta.
Sappiate solo che i Quaresimali si possono assaggiare solo nel periodo pasquale. Durante il resto dell’anno la pasticceria non li produce ma vi potrete consolare con canditi sorprendenti come quello al chinotto, unico al mondo, i confetti, i fondant, il cioccolato, le confetture. E mi fermo qui. 
Tra le dita rigiro il nastrino che lega nel tempo dolci, affetti, ricordi.

Certo, ciò che palpita così, nel profondo di me stesso, deve essere l’immagine, il ricordo visivo, che, legato a quel sapore, si sforza di seguirlo fino a me.

Ma, quando di un passato lontano non resta più nulla, dopo la morte degli esseri, dopo la distruzione delle cose, soli, più fragili ma più vividi, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l’odore e il sapore rimangono ancora a lungo, come anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, sulla rovina di tutto il resto, a sorreggere senza piegare, sulla loro stilla quasi impalpabile, l’immenso edificio del ricordo.

Tratto da M. Proust, Alla ricerca del tempo perduto
Foto GiBi