10 - Il Grand Canyon, io e l'Universo - Road Trip dalla Route 66 al Pacifico

Capitolo 10
Oggi la sveglia è alle sette e quarantacinque. Ci hanno detto che per entrare nel parco del Grand Canyon ci sono spesso lunghe file e, prima si arriva, meglio è.
La sala colazione è affollata, si fa fatica a trovare un posto a sedere, il cibo però è buono. Siamo arrivati in un punto turistico, così differente dal viaggio che ci siamo messi alle spalle. Qui si possono incontrare persone provenienti da tutto il mondo, è una babele di lingue, di colori, moltissimi sono gli asiatici.
All’esterno meno tre gradi, conviene indossare gli indumenti termici. Per questo viaggio ci siamo dotati di abbigliamento a strati, in modo da poter stare a nostro agio sia al freddo di montagna che a contatto con temperature più miti, come sarà sul Pacifico.
Acquistiamo yogurt e banane perché non si sa mai, facciamo carburante e partiamo. La benzina è molto più cara che in Texas, i bei tempi sono finiti.
Arriviamo al gabbiotto che sta all’entrata del parco, abbiamo già il biglietto, ma nessuna coda, per fortuna non siamo in alta stagione. Pare che questo sito venga visitato da più di cinque milioni di visitatori ogni anno! Speriamo di poter fare il nostro tour in santa pace. Il costo è di circa 37 dollari per ogni auto ed è valido per una settimana, ma noi lo faremo bastare solo per oggi.
Ci fermiamo al Visitor Center per capire bene come funziona la visita e decidiamo di percorrere la South Rim con la nostra auto, fermandoci presso i punti panoramici segnalati. Prendiamo un caffè abbastanza decente e partiamo per il nostro giro.
La cosa incredibile è che da qui non si vede nulla: solo conifere, boschi attraversati da un’ampia strada a due corsie dove sbucano scoiattoli dalla coda d’argento, delle specie di capre grigie, un’infinità di uccelli, corvi immensi.
Raggiungiamo il primo punto segnalato sulla mappa. Non c’è quasi nessuno, svoltiamo pieni di curiosità, possibile che questo enorme sito non sia visibile da nessuna parte? Sembra uno scherzo.
E invece rimaniamo senza parole.
Usciamo piano dall’auto, quasi per non disturbare quella magnificenza. Le bocche aperte, gli occhi spalancati, in cui non possono stare tanta immensità e tanta bellezza.
Non è facile spiegare a parole quella serie di concrezioni rocciose di vari colori che si affastellano, formando piramidi, coni rovesciati, figure improbabili che sfidano la gravità.
Alcune zone sono coperte da vegetazione, altre completamente brulle. Enormi uccelli si librano, sorvolando immensi spazi, forse sono condor.
Osservo gli scalini di roccia, i pendii che sembrano di ghiaia, gli anfiteatri, i canaloni. Dovunque una varietà di forme e colori che la mia mente limitata non riesce a contenere.
E allora mi soffermo su piccole parti di quel tutto, cercando di analizzare sezioni, alla ricerca di un punto fisso, di un perché, di un contenitore che mi riporti con i piedi per terra, nella mia certezza, nei miei confini. L’Universo si sprigiona in tutta la sua maestosità ed è davvero difficoltoso contenere quell’incanto.
È una di quelle manifestazioni della natura che non si può spiegare, che non si può fotografare o raccontare. Sento che devo solo stare qui ferma a contemplare tutta questa roba che ha a che fare con l’universo e con il suo mistero. Che genera energia e che si può percepire solo nel silenzio. Respiro profondamente, ho la testa un po’ vuota, forse per l’altitudine, il cuore sembra che faccia dei balletti che capisce solo lui.
Una gioia pacata si impossessa dei miei sensi che mi spingono a continuare a guardare il Grand Canyon e che non vorrei più abbandonare. 
Sogno di stare lì per sempre: eco dei richiami degli animali, parte del vento che soffia, goccia dell’acqua che scorre, linfa della pianta che cresce, minerale che si colora al tramonto. Sarà questa la morte? Un diventare parte del tutto, di un ciclo che non si ferma mai, di una Natura romantica, spaventosa, ammaliatrice e tremenda? Il viaggio ci trasforma, è vero, ci plasma, ci fornisce spunti e ci fa comprendere che non siamo l’ombelico del mondo, anzi, siamo solo polvere di stelle e basta un soffio per farci volare via.
Dopo questa pausa meditativa ripartiamo, fa ancora freddo, quindi tra una tappa e l’altra ci scaldiamo in auto, percorriamo con lentezza (bisogna rispettare severamente i limiti e questo è bellissimo) il tragitto, fermandoci a ogni indicazione, dove ci aspetta sempre una nuova sorpresa.
All’improvviso compare, sul fondo dell’abisso, il magnifico fiume Colorado che serpeggia tra le rocce rosse. È di un azzurro brillante e inaspettato, in certi punti si possono scorgere le rapide che schiumeggiano. Sono così lontane che non se ne avverte il rumore.
Il sole inizia a colorare le cime del Canyon, creando ombre che colmano certi precipizi. 
In perfetta sintonia con la Natura facciamo dei tratti a piedi, ci fermiamo a contemplare. 
Rispetto è la parola che circola nella mia mente. Rispetto per quella formidabile magnificenza e rispetto per me, perché è come se ci potessimo capire, facendo scorrere le nostre energie, senza barriere. 
Strano che qui non soffra di vertigini. Riesco a guardare giù negli abissi, a mettermi sulla punta di questo sperone, vicino al baratro, senza paura.
Interrompiamo la gita per visitare alcuni negozi che offrono manufatti a opera delle popolazioni che abitano questi luoghi. Gli Indiani vivevano qui e ce ne sono ancora. Da qualche parte leggiamo che il parco è gestito da loro, difficile crederlo ma spero che sia così. Alle casse dei bar e dei negozietti c’è gente di ogni provenienza.
Con il passare delle ore i visitatori e le auto aumentano, ma il parco è così grande che non percepiamo il sovraffollamento. Tutti si comportano bene, come se davanti a questo luogo incredibile diventi difficile dare spazio ai propri egoismi e alla maleducazione.
Arriviamo in un’area in cui hanno costruito lodge e hotel, molto ben integrati nel territorio. Mangiamo qualche cosa di caldo in un supermercato che fa anche da bar e che offre ogni genere di comfort. Se penso ai chilometri che deve fare ogni merce per arrivare qui… e non manca nulla. Dal cibo più sofisticato a tutto ciò che serve per il campeggio. 
In primavera aree attrezzate offrono servizi ai campeggiatori. Questo non è il periodo per dormire all’aperto, ma vediamo persone che intraprendono un percorso a piedi che attraversa i canyon da una parte all’altra, scendendo fino al Colorado, con due giorni di cammino. Non ho idea di dove possano sostare, viste dall’alto sembrano formichine e le invidio un po'.
I nostri giri ci portano all’ora esatta nel punto panoramico per assistere al tramonto. Sono le diciassette e venti. 
Qui il sole accende i punti più alti e una piccola folla si assiepa, munita di macchine fotografiche, ma in silenzio. 
Rimaniamo lì a guardare, non ancora stanchi di un’intera giornata di osservazione, la luce aumenta e diminuisce, si fa intensa e si scurisce, gioca tra le rocce e offre nuove sorprese.
Ci abbracciamo tutti e quattro. Sento una felicità immensa, mi viene da ringraziare per tutto ciò che ho, per questa vacanza, per questa famiglia.
Mi commuovo davanti a questa Natura potente e amica, e faccio davvero fatica a staccarmi da qui, nonostante il freddo si stia appropriando di noi. Voglio rimanere, in questa sorta di meditazione che mi ha accompagnata per tutto il giorno.
Mi faccio portare via, continuando a girarmi indietro per tenere ancora quella luce dentro di me. 
Ultima sorpresa: un gruppo di cerbiatti dalle grandi orecchie appuntite si avvicinano, non sembrano avere paura. Ci sono anche i cuccioli, che grazia infinita.
Anche stasera andiamo al ristorante, scegliamo quello messicano, queste sono le comodità dei luoghi turistici, mangiamo bene e sano, il marito si fa portare un piatto piccantissimo che non so proprio come faccia a finire.
Torniamo in hotel, sistemiamo i bagagli e domani si riparte per… Las Vegas!

«Lo scopo di questo mio magnifico viaggio non è quello d'illudermi, bensì di conoscere me stesso nel rapporto con gli oggetti.»

Johann Wolfgang von Goethe