12 - Dove finisce l'Uomo e inizia il Gioco - Road Trip dalla Route 66 al Pacifico

 Capitolo 12

Stiamo vagando in un universo parallelo, sospesi in aria, su una navetta dai vetri azzurri. Una voce dolce e metallica comunica le soste. Ad ogni tappa corrisponde una casa da gioco. 
Scendiamo e saliamo, ogni ambiente è diverso, ma dopo un po’ sembra tutto uguale. Pare di essere finiti in un racconto distopico.
Ed è un po’ l’impressione che ho durante tutta la visita a Las Vegas, la città surreale, piena di schermi con sedili consentiti solo a chi gioca, con banconi dei bar dove drink e partita sono interconnessi, dove tutto è finto, costruito dall’uomo, rumoroso, luminoso, esasperante. 
Dove si sente il bisogno di qualche cosa che aiuti a sostenere quell’esplosione dei sensi. Alcol, droga, l’odore di marijuana competono con le fragranze che vengono spruzzate negli ampi saloni: vaniglia, cannella, arancia, lavanda.
Visitiamo il Casino Bellagio, forse il più famoso e scenografico. Al suo interno veniamo risucchiati da una stanza enorme come un palazzo a tre piani, all’interno un allestimento natalizio con slitta dorata, un barbutissimo Babbo Natale, l’albero sontuosamente addobbato, fresche decorazioni floreali, cavalli, renne, pacchi regalo, soldatini, una casetta di marzapane, tutto di dimensioni così pantagrueliche, che non stanno nell’obiettivo del telefono.
Usciti dal gorgo umano ci imbattiamo in un’altissima e impressionante cascata di cioccolato e ci fermiamo all’esterno a guardare lo spettacolo della fontana che si muove a suon di musica, illuminata da decine di faretti.
Entriamo e usciamo dalle varie case da gioco: Venezia, Parigi, da dove sbuca la Tour Eiffel, New York, con una mini statua della libertà, il Caesars Palace dall’allestimento in stile antica Roma, e poi scale mobili, ponti, balconate, piazze, pallide volte stellate, la wedding chapel che non può mancare, e, tra tutte queste attrazioni, immense sale da gioco dalle moquette colorate, con macchine enormi, circolari, attorniate da sedili e da zombie che muovono solo un dito e che infilano coins uno dietro l’altro.
Il giovane vuole giocare, siamo senza contanti, con la carta prova a prelevare dieci dollari, la macchinetta non gli dà il tempo di decidere e risucchia l’importo, le commissioni sono illegali, un'addetta alla sicurezza ci ferma sostenendo che il figlio giovane non può stare accanto alla slot machine, non ha ventun anni, e ci costringe, con immensa ipocrisia, a camminare avanti e indietro sul tappeto a pochi centimetri, mentre il grande, accompagnato dal papà, vince e, subito dopo, perde tutto.
La musica ad alto volume rende ancora più allucinante l’atmosfera. All’esterno persone con in mano enormi narghilè, escort da lunghi capelli finti che taccheggiano su scarpe improbabili, stringendo minuscole borsette inutili, cartelli che invitano a comprare biglietti per spettacoli più o meno leciti, persone strafatte che barcollano, famiglie stremate con zainetti e figli a seguito, trangugiando bevande zuccherate.
Il cervello non può fare altro che scollegarsi. 
Vago in quella confusione spostando gli occhi da una luce all’altra e le orecchie da un rumore all’altro. 
Mi sento sfinita e sogno un luogo silenzioso e vuoto.
Ceniamo a Venezia, in un locale che si affaccia su un vero canale solcato da un'agghiacciante gondola su cui si alternano un uomo e una donna che fingono di cantare arie liriche, sparate da un altoparlante. 
Non si fermano mai, il cibo perde di significato, i sensi sono troppo bombardati. 
Al giovane scoppia un gran mal di testa. Ci sentiamo svuotati e la finta allegria che ci circonda contribuisce a infondere un senso di desolazione.
Non vedo l’ora di terminare la cena e di fuggire sul primo taxi disponibile.
Finalmente siamo in auto, il frullatore a cui siamo stati sottoposti si ferma, il traffico si dirada, l’hotel con il gruppo di scioperanti che urlano ci aspetta.
Dormiamo in un accogliente e meritato silenzio, al mattino scegliamo la nostra colazione in un Dunkin’ Donuts all’interno dell’hotel. 
Portiamo bibite e cibo in un’ampia, solitaria e lussuosa sala con poltrone appese al soffitto, sollevati al pensiero di fuggire da quella spaventosa bolgia semi umana. 
Penso a quelli che si sono trascinati là per tutta la notte, storditi, derubati, sfiniti. Non vedo divertimento ma abbruttimento. Se c'è chi si diverte davvero in quel luna park, buon per lui.
Ben rifocillati dall'ottima colazione, ragioniamo sul viaggio, facciamo il punto e ci prepariamo alla prossima tappa che sarà… Los Angeles!