Quando incontrai


«Vedi, cara, questa si mangia» disse Libereso, chino sull’aiuola. Staccò da una piccola pianta una fogliolina verde e la mise in bocca.
Come le capre? Pensai io, ma ad alta voce dissi: «Posso provare?» Diedi un morso a una foglia, come quando si deve masticare una medicina. Sgranai gli occhi e sentii la saliva esplodere: «ehi, che gusto! Non me l’aspettavo.»
L’uomo, con la sua camminata lenta e un po’ storta, sorrise e guardò a terra. Pochi passi e la sua schiena scese di nuovo. Lui staccò due petali da un fiore giallo. «L’acetosella è incredibile, ne basta poca, la metti nell’insalata e vedrai che bel piatto.»
Passammo un’ora così, a camminare per le strade di Sanremo. Lui raccoglieva, io assaggiavo: cipolla, aglio, menta, lavanda, peperoncino, i gusti del mondo sembravano essersi dati appuntamento nel mio palato.
La curiosità superava il pensiero che quelle piante, prima di entrare nella mia bocca, avevano di sicuro subito la pisciatina di qualche cane. Ma l’uomo che mangiava le piante era una scoperta troppo eccitante per occuparmi di pisciatine.
«Raccontami di Calvino» ero impaziente di conoscere qualche aneddoto su uno dei miei scrittori preferiti.
«Italo, era serio, non come me che salivo sugli alberi, lui studiava molto e scriveva, io ero libero e cercavo di comprendere le piante. Il mio nome significa libertà in esperanto.»
In testa Libereso aveva una nuvola bianca e idee di pace e fratellanza: «nel mio giardino ci sono piante che provengono da tutto il mondo, con il papà di Italo le studiavamo. E io ho capito che bisogna lasciarle libere di crescere come preferiscono, loro trovano sempre un modo per convivere con le altre. È una lezione per noi umani, se vogliamo coglierla.»
Quel pomeriggio mi regalò i semi di tamarillo e mi chiese di tornare a Sanremo per presentarmi il suo giardino.


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