Lo Chef delle Stelle


  Intervista a Giuliano Sperandio  
Executive Chef del ristorante Le Taillevent di Parigi 

Coprivo il dolore mangiando.
Potrei fare qualunque cosa, basta che sia manuale e che comporti un coinvolgimento passionale.
Più che fare da mangiare, aspiro alla bellezza dell’essere umano.
La libertà non è ribellione.
La passione è sacrificio, fatica, perseveranza.
L’attenzione e l’intuizione sono alla base della vita.
Il mio sogno… è un incubo.
Non so cosa sia la felicità. Forse un legame sensibile, un volersi bene.
Alle mie figlie voglio trasmettere libertà, leggerezza, impegno.
Quando liberi la parola, l’essere umano sta meglio.

Senza dubbio è uno chef eccezionale, ma anche un filosofo della vita. 
I suoi pensieri sono sorprendenti e fanno comprendere che, dietro a un grande successo, c'è un profondo ragionamento.
Le sue analisi comprendono spesso la parola libertà, parola che ha indagato in molte sue declinazioni.
L’intervista al bi-stellato Giuliano Sperandio si svolge nell’accogliente salottino dell’Osteria Paolomaria di Diano Borganzo. Il paesino tra gli ulivi da cui proviene l’Executive Chef del prestigioso e storico ristorante parigino Le Taillevent. Due ore in cui mi ha rivelato alcune parti di sé, senza paura, fidandosi. 
Sono certa che ognuno di voi troverà qualche cosa di interessante nelle sue parole.
Il suo successo affonda le radici in una profonda sofferenza, che a sua volta lo ha reso molto sensibile. Una sensibilità che può usare sia a suo vantaggio che contro di sé. 
Difficile trovare la via per non farsi male e per trasformare il dolore in serenità. 
Lui ci prova.

Conosco Giuliano dal 2009, anno in cui, apprese le sue gesta culinarie nel mondo, avevo chiesto a sua mamma Maria, che lavorava nel Comune di Diano Marina, se il figlio avesse avuto voglia di fare uno show cooking durante la manifestazione Aromatica che stavo organizzando.
Lei rimase quasi stupita dalla mia richiesta, con una riservatezza e modestia che si ritrovano nel figlio, ma presto arrivò la notizia che lo chef, già piuttosto noto, non solo sarebbe venuto, ma non avrebbe chiesto alcun compenso.
Fui colpita dalla sua disponibilità e freschezza. Nella cucina che gli avevamo riservato spopolò letteralmente. 
Cucinava con fiori e piante raccolti alla mattina presto, proponendo piatti dalla caratteristica leggerezza ligure, declinati con una fantasia sorprendente.
Con sé aveva portato una splendida ragazza, allora pasticcera, che aveva contribuito a rendere l’incontro unico e prezioso. Ricordatevela.

Passano gli anni, lo seguo su Instagram @sperandiogiuliano e vedo che è diventato il nuovo Dio del Taillevent. 
Mi informo sul web, caspita, che carriera! Ha lavorato con chef stellati in giro per il mondo e ora il locale che dirige ha due stelle Michelin, grazie a lui.

Lo contatto: — Credo che verremo a cena da te a Parigi, saremo lì di passaggio.
Risposta dopo pochi minuti: — Che piacere. Mi occuperò al meglio del vostro tavolo. Un abbraccio.

Parliamone. In un baleno arriva la serata a Parigi. Entriamo nel locale deliziosamente ovattato, dorato, profumato. 
L’accoglienza è personalizzata, ci accompagnano all’ingresso delle cucine, lo chef vuole salutarci. 
Ventisei addetti, vestiti di bianco, pendono dalle sue labbra. Lui, nonostante sia nel mezzo del servizio, ci accoglie a braccia aperte e ci fa dare un’occhiata alla magnificenza di una cucina perfetta. Ma come faranno a rendere lucida e intonsa ogni superficie?
Una volta raggiunto il tavolo, le pietanze che si susseguono sono scoperte di sapori che non penso esistano sulla terra. 
Il maître flamba facendo brillare padelle scintillanti, atmosfera gioiosa, leggera. Sembra di essere in un sogno. 
La salvietta calda sul tavolo per pulire le mani. 
Ogni dettaglio finalizzato a farti sentire a tuo agio.
Nei calici qualche cosa di divino.
Foto finale con lo chef davanti alla scenografica esposizione dei vini retroilluminata. Mi sa che si tratta di una sua idea, poi capirete.
Sentimenti di gratitudine, gioia e condivisione.
Ritorno a casa.
Combinazione della vita, Giuliano torna da sua mamma qualche giorno dopo, nel mio paesino di Borganzo.
Come potrei non intervistarlo per il mio Blog? Mi è sempre sembrato una persona speciale. Scopriamolo.

Gli scrivo di nuovo: — Pensavo, solo se ti fa piacere, di farti un’intervista.
Risponde subito: — Certo! Con piacere. Sono disponibile quando vuoi tu.

Ma dove si è visto uno al suo livello che non se la tira nemmeno un po’?
Eccolo, sorridente, che entra nel locale del nostro borgo, dove tutti passiamo volentieri per un brindisi, un aperitivo o una cenetta.
Paolo e Armando ci fanno accomodare un po’ in disparte e ci offrono un calice che mi auguro scioglierà le nostre parole.
Ma non ce n’è bisogno. In pochi istanti entriamo in sintonia, ci capiamo come vecchi amici.

— Raccontami la tua storia.
Tutto è iniziato con la perdita di papà. 
Ero un bambino. 
Non me l’hanno detto subito. 
Mi sono ritrovato a coprire il dolore mangiando. 
Cercavo di saltare la scuola dove non mi sentivo a mio agio e, per farmi perdonare dalla mamma, le facevo sempre trovare qualche cosa di pronto.
Giunto in terza media è arrivata la domandona: cosa vuoi fare da grande? 
E cosa può fare uno che non ha molta voglia di studiare? 
Lo si manda in una scuola tecnica, nel mio caso, l’alberghiera, visto che già cucinavo.
Non mi piaceva particolarmente lavorare in cucina, ma lo facevo bene, perché mi sembrava di trovare un po’ di me stesso in quella fatica.
La scuola la trovavo noiosa, non mi interessava, ma in quell'ambito ho fatto bellissimi incontri, persone che mi hanno aiutato.
A diciassette anni mi fanno partecipare a un concorso di cucina per scuole europee. Vinco il primo premio. Mi si aprono le porte delle cucine del mondo.
Quasi per gioco ho iniziato a fare piccole esperienze. Come prima cosa ho scelto il posto più difficile, in un hotel a Diano Marina, sapevo che lì non avrei avuto vita facile. Ma lo scelsi proprio per mettermi in gioco. 
Poi andai a Montecarlo, Roma, New York, in Toscana, in Svizzera. 
In Grecia, in un ristorante giapponese, avevo 24 anni, incrociai la ragazza che è diventata mia moglie  - la pasticcera di Aromatica - e con cui ho due figlie.
Anelavo a raggiungere l’alto livello.

— Quante lingue parli?
Tre e mezzo: italiano, francese, spagnolo e inglese, ma un po’ meno bene. 
Me lo immagino…
Mia moglie, essendo argentina, con le nostre due figlie parla in spagnolo, con me invece parlano italiano. Al lavoro e a scuola parliamo tutti francese.

Conveniamo che conoscere più lingue apre la mente, che certi concetti vengono espressi in maniera specifica solo in una determinata lingua, o dialetto, che la ricchezza, che deriva dalla diversità, arricchisce.

— Il tuo sogno vero?
È un incubo. 
Sorride… meno male. 
Perché il mio sogno era che non volevo deludere.
Sono molto sensibile e ho sempre dovuto prendere molte decisioni. In effetti il sogno si è avverato, sono più di ciò che volevo essere. 
Non gli credo fino in fondo, sono certa che da sé pretenderà ancora di più.

— E, a proposito di incubi, quali sono i tuoi?
Di notte sogno di non riuscire ad alzarmi, sono completamente bloccato, oppure ho dei vetri rotti in bocca, non posso parlare.
La moglie ora è psicoterapeuta, ha abbandonato la pasticceria… tranquilli, lui è in buone mani!

— Cosa è la felicità?
Non lo so. 
Se non lo sa lui… temo che sia difficile da raggiungere, per tutti gli altri comuni mortali.
Forse è essere soddisfatti di sé, accogliere, trovare legami sensibili, volersi bene.

— Ma hai un difetto?
Ci pensa qualche secondo, perché non ne ha!
Sono possessivo. Questo deriva dalla perdita paterna che ho subito da piccolo.

— Continuiamo con la tua storia, come sei approdato al Taillevent?
Durante il Covid, quasi per scherzo. Volevo andare via da dove mi trovavo.
Passavo spesso davanti a quell’antico ristorante e sognavo di stare lì. Per me era la Mecca di un cuoco. 
Scoprii che la proprietà cercava uno chef per uno dei loro ristoranti.
E, siccome adoro scrivere, per canalizzare le emozioni…
Lui scrive anche di notte, quando torna verso l’una dal lavoro, ed è capace di stare sveglio fino alle tre, per poi alzarsi alle sette. E io, che dico che a volte non ho abbastanza tempo per scrivere… mi vergogno un po’.
… Ho preparato tre fogli: spiegando cos’era stato il Taillevent, cosa era in quel momento e cosa sarebbe stato con me alla direzione.
Li ho lasciati alla proprietà durante il colloquio, specificando che io mi presentavo solo per il Taillevent e non per altri eventuali ristoranti del gruppo.
Mi fecero fare una prova un po' rocambolesca, visto i tempi dell'epidemia: nove piatti preparati in casa, trasportati nello zaino con lo scooter, cucinati su due piastre a induzione in un bistrot, non c'erano locali aperti.
Parigi era deserta, nel mezzo del Covid. 
Lui lo pronuncia alla francese, con l’accento sulla i.
Io me lo ero pure preso e non avevo né olfatto né gusto, che sono i sensi più importanti nel mio lavoro. Questo problema, tra l'altro, mi è durato un anno e mezzo, periodo in cui non sentivo più niente, col terrore che i miei sensi fondamentali non sarebbero più tornati.
In pratica quella sera ho cucinato alla cieca, senza poter assaggiare nulla.
E li ho convinti.
Ho firmato il contratto a marzo, abbiamo riaperto a settembre.

— E in quei mesi di attesa, cosa hai fatto?
Ho 'vissuto' il Taillevent chiuso.
Accompagnavo le bambine a scuola e poi entravo nel locale che era in fermento, come clausola avevo chiesto che venisse completamente rifatto. 
Mi sedevo su una banquette - un divanetto - e stavo lì per ore per cercare di capire come sarebbe diventato. 
La cucina ho voluto pulirla io nei minimi particolari, ho anche usato gli stuzzicadenti. 
Volevo che tutto fosse perfetto.
In molti mi dicevano che sarebbe stata una follia, che era un locale invecchiato.
Ma io lo ricostruivo nel mio immaginario, e lo vedevo proprio come doveva essere, giorno dopo giorno.

— Come ti trovi in un ruolo di così grande responsabilità?
Sono il direttore creativo. Se si innescano dinamiche che non mi piacciono, le stoppo immediatamente. 
Vivo in osmosi con il mio ristorante: tutto deve girare esattamente come lo decido io. Mi sono sempre sentito a disagio con me stesso e, se mi devo fare male, voglio farlo dagli alti livelli.
Ed ecco che la soavità lascia spazio alla determinazione, su certi argomenti si indurisce, perché per arrivare lì, solo lui può sapere i sacrifici e le difficoltà che ha dovuto superare.
Tra l’altro, la sua conduzione, ha portato due milioni di euro in più all’anno alla proprietà.

— Come fai a reggere ogni giorno ritmi così intensi e rendere tutto perfetto, sia a pranzo che a cena?
Suddivido la giornata in due. Al mattino mi concentro solo sul pranzo. Poi passo alla cena. Non riuscirei a pensare a un’unica, lunga giornata. Spacchettandola riesco ad affrontarla.

— Cosa c’è di tuo nel menu e cosa riporta alla tradizione?
Sento di portare sulle mie spalle l’eccellenza della Francia. Faccio una cucina di filosofia francese che si ritrova nell’immaginario mondiale: esalto il lato ricco, opulento. 
Di mio metto anche la ricerca di ingredienti difficili da reperire.
Come i piselli lacrima, che, vi assicuro, sono una delle sette meraviglie del mondo.
E spesso creo menu fatti su misura per i miei ospiti. Per non sbagliare, bisogna fare attenzione alle persone, ai loro desideri.

— Nella tua brigata c’è una collaboratrice speciale.
Emilie Couturier, lavoravamo già insieme otto anni fa, l’ho portata con me. Lei è super. È il mio metronomo. È fragile, è dura. Ci supportiamo umanamente.

— Ci sarà un momento in cui deciderai di terminare i tuoi tour de force? E se sì, cosa vorresti fare?
Per ora mi sento a metà del viaggio. Il mio intento è rendere tutto più leggero: il cibo, l’atmosfera, i rapporti. 
La leggerezza salva il mondo.
Ma, una volta giunto a destinazione nella mia carriera, aprirei un ristorante in spiaggia. Proprio qui in Liguria, vicino a casa. E farei ciò che si aspetta un bagnante: fritture, insalate, crudo di mare, panini e offrirei gelati confezionati per i bambini. 
Lo farò quando sarò in pensione.
Lo dice con un’aria divertita e mi sa che lo farà davvero. Se sarò ancora viva, vista la differenza di età, mi sono già prenotata come prima cliente.

— Cosa vuoi trasmettere alle tue figlie?
La libertà, la leggerezza, l’impegno, che si accettino per come sono. Hanno scoperto su Google cosa faccio, non ne avevano idea. È stato divertente, ora sono fiere di me. 
Mi batterò affinché in casa abbiano un esempio  che potranno seguire. 
Avere e dare attenzione.

— Parliamo dei dipendenti, come li recluti?
Quando sono arrivato al mio ristorante, ho dovuto costruire la brigata da zero. Ora ne ho ventisei da gestire. E la maggior parte, alla fine del loro percorso, li devo mandare via io. 
Di solito non guardo il curriculum, ma voglio capire dal colloquio, momento molto importante, se quel giovane è davvero determinato. 
Quando liberi la parola, l’essere umano sta meglio, è evidente. 
In queste situazioni entro nel mio ruolo del rigore, in cui chi lavora con me viene rispettato, ma deve dare il massimo. 
E mi racconta un paio di aneddoti in cui, come mentore per i giovani che vogliono intraprendere un lavoro in cucina, non è affatto male.
Dal dopoguerra, ogni generazione è scesa di un livello nella richiesta di determinazione nei giovani. Non è quindi colpa loro se oggi non sono tutti abbastanza motivati e disposti a soffrire.

— Cosa consiglieresti a un giovane aspirante cuoco?
Tra l’arroganza e l’ambizione e tra la presunzione e la consapevolezza c’è un filo sottile che bisogna comprendere prima possibile.
Non so se il giovane aspirante cuoco possa già comprendere certe sottigliezze, ma caro, se sei lì che leggi, sai cosa fare!

— Cosa è la libertà?
È un tema molto interessante. Che si riallaccia ai giovani. La libertà non è ribellione, non è promiscuità sessuale o cose del genere. Se sei connesso con la tua anima, allora sei libero. Anelo alla libertà pura, che si trasforma in rigore puro.

— E la passione?
La passione è una falsa definizione del piacere di fare qualcosa. La passione è sacrificio, fatica, perseveranza.

— Cosa diresti a un te stesso del passato, del presente e del futuro?
A me del passato: Ce la puoi fare. Guarda avanti e fallo senza limiti!
A me del presente: Adesso sei a casa, e, per questo, liberati!
A me del futuro: Abbiamo fatto tutto?

— Nella prima edizione di Aromatica ti avevo fatto incontrare Libereso Guglielmi, perché, nel vostro candore consapevole, mi sembrava che aveste qualcosa in comune.
Me lo ricordo benissimo. 
Libereso viveva della sua passione, è stato bello incontrare un uomo che per comunicare con gli altri usava le piante.

— Dimmi la verità, aspiri alla terza stella?
Fino alla settimana scorsa, no. 
Sorride con un brillio negli occhi. 
Però sì.
Sono qui in vacanza per meditare sulle prossime scelte.
Le stelle fanno la differenza. 
E io sono cresciuto nella 'mentalità della stella'.

Quale immagine più poetica poteva scegliere?

























25 Aprile

Tina e Luisa - Novara 1940

 Racconto di 500 parole arrivato terzo a: 

#scopriarte Contest 25 aprile

Stendo la biancheria nel silenzio del paese.
Le api ronzano e gli uccellini cantano le loro melodie.
Una musica storpiata si fa strada da lontano. È il 25 aprile.
Mi sale un nodo alla gola. Quante emozioni oggi rimbalzano da persona a persona. Ho letto articoli e pensieri nei giorni scorsi e tutti si affannano ancora a stare da una parte o dall'altra dell'Italia che fu.

Siamo l'unica nazione che festeggia una sconfitta.
Magari ci fosse ancora Lui.
Tanti giovani morti per liberare l'Italia dagli italiani e dallo straniero.
Ma poi quante vendette.
Cosa c'è da festeggiare?
È stato un giorno meraviglioso.

Risento i racconti dei nonni. I viaggi in bicicletta dalla città verso paesini dove c'era ancora un po' di cibo da smerciare al mercato nero. Ci andava mia nonna, facendo la faccia innocente. E tornava con cose proibite nascoste sotto al cappotto: patate, riso. Tremando e pedalando.
E in questo posto tra gli ulivi, dove vivo, so di uomini che lavoravano in campagna per mantenere la famiglia, scambiati per dissidenti e fucilati sul posto, o caricati sui camion.
Attimi di terrore, con la morte attaccata al fucile di un uomo come te, che ti guarda come se non esistessi. E la tua vita è appesa al suo umore, alla sua bontà, alla sua cattiveria, al caso.
I tedeschi bussano alla porta con forza. Mia suocera è una bambina, entrano e vogliono mangiare. Sua mamma frigge le patate e le frigge ancora, pregando che se ne vadano, felici di quel pasto caldo che fa pensare alle loro mamme, sperando che si accontentino e che vadano a fare la guerra da un'altra parte.
Immagino questo paesino immerso nel silenzio, come oggi, le persone quasi tutte povere.
Non glie ne fregava niente della guerra, volevano solo mangiare e scaldarsi.
I bambini andavano a scuola a piedi, con un pezzetto di legno in mano da infilare nella stufetta della classe.
Il tempo passava al ritmo delle stagioni: la legna da tagliare, le olive da raccogliere, lavare i panni al fiume.
E poi c’era quella guerra, che risuonava lontana finché non compariva improvvisa, con gli occhi azzurro cielo del temuto avversario, e la sua arma puntata.
Ora lo straniero viene qui in vacanza e ristruttura vecchie case. Siamo tutti sotto lo stesso cielo e sopra la stessa terra.
C'è ancora chi sta a destra e chi a sinistra, attaccato a ideali che si dissolvono, come la canzone partigiana che svolazza stonata nella valle.
Il 25 aprile è libertà, dolore, morte, fame. Il prezzo da pagare.
È tornato il silenzio.
Questa guerra sarà finita solo quando un ragazzino annoiato la leggerà su un libro di scuola e non avrà sentito i racconti dei nonni, e non avrà la più pallida idea di cosa fosse, come la Guerra dei Cent'anni o quella del Peloponneso.
I morti allora riposeranno in pace e i vivi, forse, avranno capito che la guerra è solo una gigante, immensa pazzia.

Foto archivio GiBi

La pizza all'Andrea


Per 4 persone

Ingredienti
Per l’impasto:
1 kg. di farina
1 dl. di olio extravergine di oliva
30 gr. di sale
30 gr. di lievito
acqua
Per il sugo:
passata di pomodoro
1 cipolla
olive taggiasche in salamoia
10 spicchi d’aglio
origano
6 acciughe diliscate e lavate
sale q.b.

Preparazione
Impastare gli ingredienti per la base della pizza, far lievitare e disporre l’impasto sulla teglia, farlo ancora lievitare un po’, aggiungere il sughetto fatto con un trito di cipolla soffritta nell’olio con l’aggiunta della passata di pomodoro, sale e origano. Disporvi sopra le acciughe pulite, le olive, gli spicchi d’aglio schiacciati con la loro buccia, aggiustare con il sale. Infornare a 200° per 30 minuti. 

Immagine realizzata con IA

tratto dal libro: 
"Tavola Aromatica" Storie, Chiacchiere, Suggestioni e... di Guja Boriani & Elena Torti

Buon compleanno Libereso, per sempre con noi, amanti delle piante

 

In occasione del compleanno di Libereso Guglielmi, vi propongo un video che ho curato alcuni anni fa: L'uomo che mangia le piante.

Eccolo in una delle tante foto che scattai durante le riprese, tra i suoi Tamarilli che ora si trovano anche nel mio giardino. 

Seguendo il suo insegnamento distribuisco i semi di questa pianta sorprendente, perché anche lui amava "fare rete" e condividere.

Nella mia casetta degli attrezzi conservo ancora le bustine con i semi, su cui lui scriveva a mano i nomi delle piante.

Un uomo eccezionale e incredibile, proprio come il suo giardino, tra le case di Sanremo.

Qui potete trovare una delle sue ricette con i fiori:

Fiori di glicine e mimosa in pastella

Foto GiBi




Intervista con dieci domande all'autrice Greta Mercadante

Greta pubblica in self e cura ogni dettaglio delle sue opere, come piace a me. I suoi romanzi sembrano usciti da una casa editrice e questo è ciò che conta per alzare il livello di chi decide di auto pubblicarsi. Si tratta di un percorso non semplice, specialmente per chi inizia e per questo, quando incontro uno scrittore serio, cerco di farlo conoscere.

Greta Mercadante è nata a Rovigo nel 1977 e risiede da sempre a Cinisello Balsamo (MI). Sposata e madre di due bambini. Le sue prime pubblicazioni per Amazon "Un legame invisibile" e "Il perimetro del cielo" affrontano la problematica, tutta femminile, della perdita del lavoro e della ricerca del sé per reinventarsi in altri ruoli, con una narrazione quasi leggera e a tratti autobiografica.

1 A che punto del tuo percorso di vita ti sei sentita una scrittrice, e quindi hai deciso di pubblicare e perché?
A dire la verità, preferisco identificarmi come una "raccontastorie" piuttosto che una scrittrice. La decisione di pubblicare è stata motivata da un momento cruciale nella mia vita, un'esperienza personale che ha scatenato un'esigenza profonda. Volevo che le protagoniste dei miei romanzi, attraverso le loro storie, potessero offrire sostegno e conforto ad altre donne che affrontano difficoltà simili. Era importante per me creare un legame emotivo con le lettrici, far loro sentire che non erano sole nei loro percorsi di vita.

2 Cosa vorresti dire ai tuoi lettori? Che messaggio vuoi trasmettere?
Bè, sicuramente di scrivere una bella recensione! Scherzi a parte, ho iniziato a scrivere per trasmettere l'importanza di affrontare le sfide della vita con coraggio e determinazione, sapendo che non si è sole e che c'è sempre una luce alla fine del tunnel. Vorrei che le mie lettrici trovassero conforto e ispirazione nelle mie storie.

3 Secondo te possono coesistere i ruoli di essere donna, moglie, lavoratrice, mamma e anche autrice, senza ingolfare ulteriormente la tua vita?
Essere donna, moglie, lavoratrice, mamma e autrice è un compito impegnativo. Dalla mia esperienza personale, ho imparato che ci sarà sempre un ruolo che sembra prevalere sugli altri in determinati momenti, ma è proprio la capacità di bilanciare e adattarsi che ci permette di affrontare tutte le sfide. In fondo, ogni ruolo contribuisce a definire chi siamo e ci permette di esprimere la nostra completezza come individui.

4 Che stile ti caratterizza, cosa si deve aspettare un lettore dai tuoi romanzi?
Una cosa che mi rende orgogliosa e che mi differenzia da altri scrittori emergenti è che utilizzo il "tu" per narrare le storie, lo trovo un modo diverso per coinvolgere il lettore.

5 Quanto ci metti di te stessa nei tuoi personaggi?
Nei miei personaggi riverso molte sfaccettature della mia esperienza emotiva e delle mie riflessioni. Anche se, non smetterò mai di sottolineare che non sono una diretta trasposizione della mia vita.

6 Racconta qualcosa di pazzo che ti è successo nell’ambito della scrittura.
Non ho storie particolarmente folli da raccontare riguardo alla mia esperienza nella scrittura. Tuttavia, c'è un aneddoto che mi ha divertito parecchio. È successo più volte che le persone mi chiedano come faccia a "stare" con Teo, credendo che il personaggio della mia storia sia realmente mio marito.

7 Scrivere ti rende felice? Quale sensazione provi mentre crei una storia?
Scrivere è fonte di realizzazione personale. La sensazione che provo mentre creo una storia è difficile da descrivere a parole e si compone di tante fasi. È un misto di emozione, paura, felicità, trepidazione svuotamento, realizzazione ma anche un senso di responsabilità verso ciò che sto creando.

8 Preferisci scrivere o leggere?
Sono esperienze diverse ma altrettanto preziose. Scrivere mi consente di esplorare la mia creatività, di dare vita a mondi e personaggi e di condividere le mie riflessioni con gli altri. È un atto di espressione personale e di comunicazione che mi porta una profonda gratificazione.
D'altra parte, leggere mi offre l'opportunità di immergermi in mondi creati da altri autori, di esplorare nuove idee e di arricchire il mio bagaglio culturale ed emotivo.

9 Ora sei insegnante, quanto pensi che conti trasmettere il tuo amore per la parola ai tuoi alunni?
Nel mio ruolo di insegnante, ciò che cerco di trasmettere ai miei alunni non è solo l'amore per la parola, ma soprattutto la curiosità. La curiosità è la spinta che li porta ad esplorare, a interrogarsi sul mondo che li circonda e a cercare risposte.

10 Pensi che la scrittura scaturisca da situazioni difficili e dolorose, che sia un modo per esorcizzare la paura? Oppure cosa rappresenta per te la scrittura?
Assolutamente sì e può rappresentare anche una cura, un'opportunità di esplorazione personale, di connessione e di creazione di significato. È uno strumento potente che permette di dare forma alle nostre esperienze e di comprendere e trasformare le emozioni.

Se non li avete già letti, ecco su Amazon dove acquistarli in formato e-book o cartaceo, gratuito su Kindle Unlimited: 

Le madeleines di Proust… ma a Genova

Dentro a quel piccolo rombo, o losanga, come si vuole chiamare, si nasconde un velo di marmellata di fichi e limoni.
Sull’ostia si adagia un marzapane ripieno di sciroppo di zucchero.
Nei canestrelli è intrappolata l’acqua distillata di fiori d’arancio e, in superficie, croccanti palline di zucchero bianco ne contrastano la morbidezza.
Parole irresistibili che si vorrebbero mangiare, assaporare, succhiare, leccare.
Ma queste parole descrivono deliziosi dolci che una piccola pasticceria di Genova sforna dai primi dell’Ottocento.
Sto parlando di Romanengo, ovviamente.
Quando si ha a che fare con il cibo, spesso, attaccato al gusto, arriva un ricordo.
Quindi non mi resta che raccontarvi il mio.
Avevo una zia che abitava a Genova e per Pasqua mi portava sempre i cosiddetti Quaresimali.
In un vassoio avvolto da una carta bianca, legata da un nastrino chiaro, a sua volta ricoperta da una azzurra, con nastrino blu, fermata con semplicità dal marchio della pasticceria, si nascondevano scrigni di sapore.
Sento ancora il rumore dei quella carta piena di promesse che scricchiolava tra le dita, il nastro che scivolava via, il profumo di frutta che usciva dal pacchetto, il sorriso dagli occhi azzurri che mi guardava e si gratificava della mia piccola gioia.
Non sono attratta dai dolci, ma quel pensiero che da Genova, su un treno, tra le mani prudenti della zia per non rovinare la confezione, i Quaresimali arrivavano fino a me, mi rendeva perfino golosa.
E assaggiavo e mugolavo come un cagnolino felice. Non erano i dolcetti che gustavo, ma l'immenso amore della zia.
Pare che questi pasticcini risalgano al Cinquecento, quando le suore del convento di San Tommaso preparavano la pasta di mandorle senza burro, latte e uova, per rispettare il divieto di mangiare grassi animali, durante la Quaresima.
Un giorno la zia arrivò con un nuovo regalo da scartare: un libro. Era un giallo dal titolo: I cioccolatini di Soziglia, di Carlo Alberto Rizzi. Perché la pasticceria si trova in una piazza che ha quel nome, nel centro storico di Genova. Lo divorai, con lo stesso gusto che ci mettevo nel mangiare i Quaresimali, pensando che prima o poi mi sarebbe piaciuto vedere quel posto.
Desiderio esaudito. Una volta all’università, la zia mi accompagnò lì, per assaggiare una delle loro prelibatezze: le gocce di rosolio. Piccoli scrigni di zucchero liscio che, una volta rotti con i denti, lasciano uscire diversi tipi di rosolio al gusto di rosa, certosino, anice, curaçao, marasca, acqua amara, e viola.
Passarono gli anni e un giorno, una cara amica della zia che ormai non c’era più, mi fece una sorpresa e mi donò proprio i Quaresimali, che portarono con sé ondate di emozioni.
Gli anni passarono ancora e, con stupore, scoprii che la pasticceria Romanengo aveva anche un negozio a Milano. Ne parlai con mio figlio che abita là.
E ieri, l’altro mio figlio, al rientro da Milano, come un messaggero di prelibatezze, è sceso anche lui dal treno e mi ha consegnato il magico pacchetto.
L’accoglienza nel negozietto meneghino è stata eccezionale, con tanto di assaggi e racconti e sorrisi. Mio figlio ne è rimasto affascinato e credo che tornerà, forse con me, per fare nuovi acquisti.
A casa ho assaggiato tutto, ricordando, con emozione, quei profumi che si confondevano con la zia profumata e bella e dolce.
Non vi resta che provare queste delizie a Genova o a Milano, anche se vostra zia non ve le ha mai fatte assaggiare, anche se la sua amica non ve le ha mai regalate, anche se non avete un figlio che ve le compra e uno che ve le porta.
Sappiate solo che i Quaresimali si possono assaggiare solo nel periodo pasquale. Durante il resto dell’anno la pasticceria non li produce ma vi potrete consolare con canditi sorprendenti come quello al chinotto, unico al mondo, i confetti, i fondant, il cioccolato, le confetture. E mi fermo qui. 
Tra le dita rigiro il nastrino che lega nel tempo dolci, affetti, ricordi.

Certo, ciò che palpita così, nel profondo di me stesso, deve essere l’immagine, il ricordo visivo, che, legato a quel sapore, si sforza di seguirlo fino a me.

Ma, quando di un passato lontano non resta più nulla, dopo la morte degli esseri, dopo la distruzione delle cose, soli, più fragili ma più vividi, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l’odore e il sapore rimangono ancora a lungo, come anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, sulla rovina di tutto il resto, a sorreggere senza piegare, sulla loro stilla quasi impalpabile, l’immenso edificio del ricordo.

Tratto da M. Proust, Alla ricerca del tempo perduto
Foto GiBi


La panizza - A panissa



Per 4 persone

Ingredienti
300 gr. farina di ceci
½ cipolla
1 lt. acqua tiepida
olio extravergine di oliva
sale e pepe q.b.

Preparazione
Versare in una casseruola, dove avete messo la farina di ceci, un litro di acqua tiepida, mescolando continuamente fino a creare un composto omogeneo e senza grumi.
Regolare il sale e mettere sul fuoco mescolando lentamente per circa 40 minuti.  
Versare la panizza in un piatto e lasciarla raffreddare. 
Tagliarla a tocchetti, irrorarla con l’olio extravergine di oliva, aggiungere un po’ di sale, un pizzico di pepe e la cipolla tagliata finemente.

Immagine realizzata con AI

tratto dal libro: 
"Tavola Aromatica" Storie, Chiacchiere, Suggestioni e... di Guja Boriani & Elena Torti

La zuppa di fagioli di Conio

Per 4 persone

Ingredienti
500 gr. di fagioli di Conio
un pizzico di bicarbonato
2 carote
un pezzo di zucca gialla
mezzo gambo di sedano
4 foglie di bietolina
olio extravergine di oliva
sale e pepe q.b.

Preparazione
Mettere a bagno i fagioli con acqua tiepida e bicarbonato per una notte. Il giorno dopo scolare i fagioli e farli cuocere in acqua tiepida leggermente salata a fuoco molto lento, possibilmente in un tegame di terracotta, insieme alle verdure tagliate a pezzetti. Condire direttamente nel piatto del commensale con il pepe  macinato sul momento e olio extravergine di oliva.

Foto GiBi

tratto dal libro: 
"Tavola Aromatica" Storie, Chiacchiere, Suggestioni e... di Guja Boriani & Elena Torti

Le acciughe della bisnonna Maietta


Per 4 persone

Ingredienti
20 acciughe fresche e pulite
mollica di un panino
3 cucchiai di aceto
una manciatina di prezzemolo tritato
2 spicchi di aglio
sale q.b.

Preparazione
Sistemare le acciughe aperte sulla teglia del forno unta di olio, ammollare la mollica nell’aceto e strizzarla bene, aggiungere in trito di aglio, prezzemolo e sale.
Ricoprire le acciughe con questo impasto e cuocere nel forno a 180° finché non saranno dorate.

Immagine realizzata con AI

tratto dal libro: 
"Tavola Aromatica" Storie, Chiacchiere, Suggestioni e... di Guja Boriani & Elena Torti

Storia vera

Una sera, sulla mia posta elettronica, arriva una mail misteriosa intitolata: 

Lettore del tuo libro.

L’ho aperta con curiosità e la scoperta mi ha lasciata senza fiato.
Dopo averla scorsa velocemente, l’ho riletta più volte ed ecco che un evento inaspettato mi ha permesso di riaprire una finestra su un lontano e importante ricordo.
Intorno a me, in quei giorni, si sono subito riuniti familiari, amiche di penna, persone che mi vogliono bene. Tutti “sintonizzati” su ciò che sarebbe accaduto a seguito di questa novità. Li ho sentiti vicino virtualmente, pronti a vivere insieme a me una nuova avventura, che sapevano mi avrebbe fatto solo bene.
Ed è accaduta una cosa che forse è proprio ciò che mi ha spinto a scrivere il primo romanzo: “Ladra di mamme”, che è un romanzo, appunto, una storia inventata. Solo l’incidente scatenante è reale. Ma proprio di questo io conosco pochissimi particolari.
Ed ecco che, proprio come nelle favole, dal nulla esce un “ex bambino” con cui giocavo proprio in quell’albergo, proprio fino al giorno prima di ciò che è accaduto.
Lui mi ha rintracciato inseguendo le pagine del libro. L’incipit di quella storia lo conosce bene. Se l’è portato dietro da una vita. E lo conosce meglio della scrittrice.
In pochi giorni, quel lontano amico, si è materializzato davanti a me, ricco di aneddoti, generoso nell’aver custodito per ben cinquantadue anni la narrazione di ciò che è accaduto.
Ha qualche anno di più e si ricorda perfettamente ogni particolare che l’eccezionalità della situazione ha scolpito nella sua mente. Le sensazioni, gli eventi nel loro drammatico susseguirsi, le azioni prima e dopo quell’attimo che mi ha cambiato la vita.
Lui ha colmato un vuoto della mia esistenza con parole calde, immagini vivide e persino allegre.
Non credo sia stato facile affrontare una cosa del genere, ma ci è riuscito.
Da questo incontro i miei scarsi ricordi hanno preso una nuova via, si sono fatti più chiari, più gioiosi. Il dolore si è allontanato ancora di più, lasciando posto a una maggiore serenità.
Il filo del tempo ci ha uniti in quell’estate del 1971 per poi allentarsi: anni e anni in cui abbiamo preso vie diverse. A volte si tendeva, a volte si accorciava questo filo, fino a riportarci, come un resistente elastico di gioia, di nuovo vicini.
Per guardarci negli occhi come quando eravamo bambini, senza paura.
Tra le tante cose che aveva da dire, svelo solo questo: il giorno prima del tragico evento gli ho sequestrato la chitarra, cercando di suonarla per una giornata intera. Con l’esito di una grande bolla sul dito. Ecco, forse, da dove deriva la mia fissazione di imparare a suonare uno strumento, sempre disattesa dal corso degli eventi.
Un piccolo ricordo, senza particolari significati. Ma un ricordo di normalità, dove tutto funzionava. Dove c’era una volta una bambina con una mamma e un papà. E la storia sarebbe stata più bella se fosse finita lì.
L’esistenza però ci regala situazioni che vanno ben oltre la nostra fantasia. Magie che non crederesti mai si possano avverare.
E proprio il mio piccolo libro si è assottigliato diventando filo del tempo, ponte tra due persone.
Non è proprio questo che mi spinge a scrivere? Creare un rapporto tra scrittore e lettore, unire passato, presente e tutto ciò che non abbiamo vissuto.
A me questa sembra una bella, incredibile, magica favola e ho voluto condividerla con voi.
Perché i libri non smettono mai di stupire noi, che li amiamo così tanto.

Immagine generata con AI




L'uomo che suonava Beethoven di Jean-Baptiste Andrea - recensione

 


Questa è una bella storia, pubblicata da Einaudi, che racchiude altre storie: piccole matrioske che si infilano una nell’altra, unite dal filo della cattiveria umana, ma anche da gesti eroici, seppur di bambini.
Il protagonista, Joe, è un pianista che suona negli aeroporti e nelle stazioni ferroviarie, ovunque trovi un piano “pubblico”, che chiunque può suonare. 
Ma le melodie che escono dalle sue mani sono solo quelle di Beethoven.
All’apparenza sembra un vecchio originale, con qualche stramba fissazione, ma lui pare consapevole della sua scelta, perché, afferma, sta aspettando una donna da ben cinquant’anni.
Narrato in prima persona, presto il racconto torna indietro nel tempo, quando Joe perse la famiglia in uno schianto aereo e venne spedito in un terribile orfanotrofio in stile dickensiano.
Qui si misura con le vite di altri bambini, che a loro modo esprimono maturità impensabili. 
I nomi dei suoi compagni di sventura hanno un preciso significato che li riporta alle loro caratteristiche.
Lo squallore e la violenza, conditi dai sofisticati, o primitivi a seconda dei casi, mezzi di punizione del reverendo e del sorvegliante, vengono attutiti da una deviazione della sua sorte.
Joe, infatti, proprio perché già pianista di pregio, viene inviato come insegnante in una casa in cui una ragazzina diafana, ricca e viziata non ha alcuna intenzione di imparare a suonare il piano.
Il rapporto tra i due ragazzini evolve, fino a portarli a una decisione estrema. Ma qualcosa va storto.
Intanto la società segreta che si è formata tra gli orfani all’interno dell’istituto religioso, trama una gloriosa fuga, irta di pericoli.
La critica alla fede cieca e ottusa si snoda capitolo dopo capitolo. 
La disumanità che nasce dalla convinzione di essere dalla parte di Dio e quindi del Giusto, porta gli adulti, che dovrebbero accogliere e accudire i bambini, a essere spietati aguzzini.
Molti passaggi sono poetici e scritti con grande cura, il romanzo di Jean-Baptiste Andrea si legge in un soffio, fino all’epilogo, in cui si torna al presente, al vecchio Joe, che svela cosa ci sta a fare attaccato ai pianoforti di mezza Europa, a suonare solo Beethoven.

Frasi che mi sono piaciute:

“Quando quel ragazzo argentino, Barenboim, suona Beethoven, è tutta un’altra storia.”

“Maglioncino verde acqua, pantaloni bianchi, Rose sedeva languida davanti a un pianoforte da studio Kawai, uno strumento da bettola che stonava con i soffitti affrescati e gli angioletti sparpagliati alla rinfusa su rive di gesso.”

“Non ci insegnavano a pensare in grande, a pensare in generale.”

“— Come sono morti i tuoi genitori?

  — Stabat mater dolorosa
       juxta crucem lacrimosa,
      Dum pendebat Filius.

— Non ti va di parlarne?”

Elizabeth Finch - recensione del romanzo di Julian Barnes

Questo è un libro in cui, fin dalle prime pagine, si viene rapiti dalla raffinatezza dello scrittore.
Anche se, confesso, non l’ho apprezzato interamente. Forse perché l'ottima scrittura dei primi capitoli mi ha portata ad avere alte aspettative.
Julian Barnes, nel suo romanzo intitolato Elizabeth Finch, racconta la storia di un’insegnante universitaria che tiene un corso di Cultura e Società ad alunni già adulti, desiderosi di approfondire certe materie umanistiche.
Il punto di vista è quello di un suo alunno, Neil, nella vita un inconcludente, con matrimoni falliti e figli che non vivono con lui.
Per lui la docente emana un fascino intellettuale unico e, con le sue lezioni anticonformiste, gli fa venire il desiderio di conoscerla meglio.
Neil, una volta terminato il corso, la invita a pranzo, e mantiene questa abitudine negli anni, fino alla morte della sua professoressa.
Il rapporto rimane sostanzialmente statico, gli incontri sembrano avvenire su un piano amichevole, di scambio di vedute sulla vita.
Ma chi è veramente EF, come la chiama lui?
Una donna intelligente, sobria, determinata, carismatica e sicura di sé, in grado di tenere attento l’uditorio della sua classe con scambi di punti di vista e ragionamenti inconsueti.
I suoi pensieri sono illuminanti, le frasi taglienti rimangono scolpite nella mente di Neil che desidera rimanere in contatto con lei, quasi per trarre saggezza e verità da questa donna affascinante e un po’ misteriosa.
Alla sua morte Neil intavola un rapporto con il fratello di lei, Chris, che gli consegna l’intera biblioteca e le carte, secondo la volontà di EF, espressa nel testamento.
Neil, incredulo di fronte a una tale fonte di informazioni sulla vita dell’insegnante, si mette subito al lavoro, forse alla ricerca dell’effimero che lei emanava, forse alla ricerca di verità nascoste. Presto si imbatte su una serie di appunti, carte, diari, in particolare sull’ultimo imperatore pagano, Giuliano l’Apostata, Flavius Claudius Julianus, bollato dalla storia come anticristo.
E così scopre che la sua insegnante aveva cercato di scrivere un saggio su questo imperatore, un saggio incompiuto che non le ha portato nulla di buono e che lui è quindi determinato a terminare, in un raro slancio verso la compiutezza.
Il parallelo tra l’incapacità di bloccare l’avanzata della religione Cristiana a favore del politeismo da parte di Giuliano e il tentativo fallito di EF di divulgare il suo pensiero, simile a quello dell’imperatore, crea un corto circuito in cui il lettore si ritrova a leggere un saggio all’interno del romanzo. Il saggio che Neil vuole portare a termine per onorare la sua mentore.
Il cuore del romanzo quindi è un saggio che io ho trovato eccessivamente lungo e di scarso interesse, anche perché i concetti potevano essere espressi con molte meno parole, a vantaggio della figura di EF, che è certamente il personaggio meglio riuscito.
Il racconto sulla vita e sulle frasi lapidarie di EF, molto interessanti e acute, a mio parere si interrompe per troppe pagine, tant’è che mi sono domandata più volte dove lo scrittore volesse andare a parare.
Al termine del lungo excursus storico l’autore / Neil si domanda se EF gli abbia lasciato i suoi appunti affidandosi al caso, senza una vera intenzione di fargli ricostruire il suo saggio, o se in realtà abbia voluto abbandonare dietro di sé delle piste sulla sua vita misteriosa.
E così decide di fare anche lui, in un gioco con il lettore, affermando che il suo lavoro di ricostruzione della vita di EF e del saggio su Giuliano, lo lascerà anche lui in un cassetto, alla mercé di qualche figlio, mentre nella realtà il romanzo / saggio si trova tra le mani di chi lo sta leggendo. Lo stratagemma del libro nel libro per me è sempre accattivante e adoro il gioco di specchi con il lettore.
Per me è un libro fatto di molte domande poste con grazia e arguzia e di risposte aperte, un libro non scontato che mette in moto il cervello di chi legge, il quale, ci scommetto, sottolineerà molte frasi e tornerà a rileggerle. Io l’ho fatto.

Intervista con dieci domande all'autrice Elsa Lohengrin


Questa è un'intervista a cui tengo e, vedrete, le risposte sono molto interessanti sia per lettori che per scrittori. 
Elsa Lohengrin è nata in Inghilterra, è cresciuta in Italia e ora vive in Svizzera, dove divide le sue giornate tra l’attività di traduzione, lo studio della narratologia, la scrittura dei suoi romanzi, la sua famiglia e una miriade di altri impegni. Ha studiato scrittura creativa con alcuni dei maggiori esperti di storytelling negli Stati Uniti, conseguendo diversi diplomi. Scrive narrativa contemporanea e storie d'amore in italiano, la sua lingua di preferenza. Ha un marito e tre figli, e sogna di vivere in un paesino sperduto lungo la costa scozzese.

1 Che consiglio ti daresti se stessi iniziando a scrivere?
Mi consiglierei di non scrivere nemmeno una parola prima di aver capito esattamente cosa sia una storia e come si sviluppi una narrazione che coinvolga i lettori, in modo da non perdere un’infinità di tempo nel tentativo di mettere a posto storie che non funzionano perché scritte senza cognizione di causa.

2 Se potessi condividere un calice di vino, una birra, un caffè o una tazza di tè con uno dei tuoi personaggi, chi sceglieresti e perché?
Domanda difficilissima. Vorrei incontrarli tutti dal vivo! 
Mi sa, però, che alla fine sceglierei MacLeod, anche se con tutta probabilità non capirei un acca di quello che direbbe, ma non sarebbe male perdersi nei suoi occhi per una volta nella vita ;-D

3 Dove ti piacerebbe essere mentre scrivi uno dei tuoi romanzi? È importante la location o scrivi dovunque?
Mi piace scrivere in luoghi con vista sul mare, ma in generale scrivo ovunque, basta che ci sia silenzio. Non riesco a scrivere in luoghi affollati o dove c’è musica di sottofondo ad alto volume. Mi piace anche andare nel luogo in cui è ambientata una scena e poi tornare a casa e dedicarmi solo a descrivere quel posto, cercando le parole che userebbe il personaggio punto di vista per farlo, senza pensare a tutto il resto della scena.

4 Come riesci a conciliare il lavoro di autrice con tutto il resto (famiglia, altro lavoro)?
Prendo ogni giornata come viene. Ho smesso di fare piani, perché tanto succede sempre qualcosa per cui alla fine non riesco a portare a termine tutto quello che mi ero prefissata. Scrivo perlopiù di notte, perché ci sono meno interruzioni e posso davvero immergermi nei miei personaggi. Le mie giornate sono invece suddivise tra il lavoro di traduttrice, i miei tre figli, mio marito e le mille altre cose che ci sono da fare nella vita.

5 Come bilanci la necessità di soddisfare i lettori con la tua visione creativa personale?
Il Cigno è il primo libro che pubblico ed era anche il libro che volevo assolutamente scrivere. Non ho quindi modificato la storia per soddisfare i lettori o non disturbarli, perché non volevo scendere a compromessi. Ho invece tenuto conto delle reazioni dei lettori nello scegliere le tecniche narrative da usare, ma non considero questo sforzo una limitazione della mia libertà creativa, anzi: riuscire a portare i lettori dove voglio è per me una sfida costante che mi spinge a usare ancora di più la mia creatività.

6 Ti è successo di commuoverti mentre scrivi una scena toccante?
Non veramente: la parte analitica del mio cervello è molto difficile da spegnere! Riesco a immedesimarmi molto bene nei miei personaggi, ma quando scrivo e rileggo, sto esaminando decine di cose contemporaneamente e non c’è molto spazio per essere particolarmente sentimentali. Più che altro sono molto sadica con i miei personaggi, perché, finché non li metto davvero con le spalle al muro, quelli non imparano niente! Killian poi è stato davvero un osso duro…

7 Veniamo al tuo romanzo: Il Cigno. Quando ti è venuta l’idea di scriverlo e perché?
Il Cigno è nato per puro caso. In uno dei tre romanzi che avevo scritto prima del Cigno, a un certo punto è comparso Killian in un ruolo del tutto marginale. Volevo eliminarlo, ma continuava a tornarmi in mente, finché non è diventato così insistente che ho dovuto dargli ascolto e raccontare la sua storia. Con Il Cigno volevo anche dar voce a tutte quelle persone che, nel corso degli anni, mi hanno raccontato le loro storie di sofferenza, gioia e dolore e far loro coraggio.

8 Nella tua saga cosa è più importante? I personaggi, l’intreccio, il messaggio, l’ambientazione o altro?
Decisamente i personaggi. Amo plasmare i loro caratteri, i loro pregi e difetti e il percorso di crescita che affronteranno nel corso della storia. Amo poi metterli uno contro l’altro e vedere cosa succede. L’ambientazione, invece, non mi interessa così tanto. Certo, è un elemento importante in un romanzo e non va trascurata, ma non comincerei mai a scrivere un romanzo dalla descrizione di un luogo. Quella per me è sempre l’ultima cosa. Prima vengono i personaggi, poi la trama e il tema.

9 Come tratti il tema della diversità?
In modo quanto più naturale possibile. Per me ciascuno è libero di vivere la sua vita nel modo che più gli si addice.

10 Puoi raccomandare il titolo di un libro che ti ha segnato e ha influenzato la tua scrittura?
Io prima di te di Jojo Moyes per il suo modo di trattare temi devastanti come l’eutanasia in modo apparentemente leggero e ironico: anziché togliere potenza al messaggio, questo suo modo di scrivere coglie nel segno con una tale forza che il lettore è costretto a riflettere sulla tematica, che lo voglia o meno. È questa la bravura degli scrittori che davvero padroneggiano le tecniche della scrittura creativa moderna.

Trama del romanzo
Il dottor Killian Altavilla è senza parole. Dopo aver rinunciato al sogno di diventare medico legale per accontentare la sua ragazza, Mélanie, scopre di essere stato scelto come assistente di uno dei migliori medici legali in circolazione ed è costretto a rivalutare la sua decisione, con grande disappunto di Mélanie, che sperava di sposarsi e mettere su famiglia entro l’anno.
Ma non appena Killian incontra il suo nuovo capo, il Professor Lachlan MacLeod, il mondo perfetto che si è creato intorno comincia a sgretolarsi. Il rapporto con Mélanie diventa sempre più conflittuale e la sua vita quotidiana si trasforma in una gabbia dorata.
Perché Killian non è quello che tutti pensano. Killian si porta dentro il peso di una scelta fatta quando era troppo giovane e ne paga le conseguenze ogni giorno, anche se non lo vuole ammettere. Eppure adesso è arrivato il momento di guardare negli occhi il Cigno e di fare i conti una volta per tutte con il passato che sta disperatamente cercando di ignorare.
Riuscirà a salvare la relazione con Mélanie e a diventare medico legale o crollerà sotto la pressione dei ricordi risvegliati dall’imponente figura di MacLeod?
Il Cigno è il primo romanzo autoconclusivo della Saga degli Altavilla, una serie dedicata alle vicissitudini sentimentali dei membri di questa numerosa ed eclettica famiglia contemporanea.

Presentazione del protagonista
“Esistono cose nella vita che non vogliamo vedere, che non vogliamo ammettere nemmeno a noi stessi, perché riconoscerle vorrebbe dire abbandonare il mondo in cui ci sentiamo comodi e protetti, vorrebbe dire affrontare la realtà, sovvertire i poli della nostra esistenza, andare incontro all'incognito con tutti i suoi rischi. Ma poi succede che incontriamo persone che scardinano le nostre certezze, che ci costringono a vedere anche quello che non vogliamo, che ci fanno capire chi siamo veramente. E alla fine dobbiamo scegliere. Dobbiamo scegliere se tornare nella nostra gabbia dorata e chiudere la porta per sempre o spiegare le ali e volare verso l'infinito. Piacere, sono il dottor Killian Altavilla e questa è la mia storia.”

Se non lo avete già, ecco dove acquistarlo in formato e-book o cartaceo, gratuito su Kindle Unlimited: Il Cigno di Elsa Lohengrin su Amazon