il blog di guja
racconti brevi, pensieri, foto, viaggi, idee, ricette e prove di coerenza
Nostalgia di Cime Tempestose? Ci pensa Lorena Ciullo
Ho amato molto Cime Tempestose, l’ho letto due volte e lo sto ascoltando in audio libro perché, recentemente, è uscito il romanzo di Lorena Ciullo, Il ritorno di Catherine: il fuoco nella cenere, che ha riattizzato la mia nostalgia per le Wuthering Heights, per le sue tempeste, per la brughiera inglese con le tormente invernali, la neve, il fuoco nel camino, le tazze di tè, la trama complessa.
Il ritorno di Catherine è un libro intrigante, magico, e può essere anche una sorta di consolazione per gli affezionati di Emily Brontë, colpevole di aver scritto un solo romanzo.
Cat dunque torna, nelle sembianze di una bellissima donna moderna, vittima di un incidente.
La sua missione è trovare l’amato Heathcliff, ma per raggiungerlo deve superare le barriere che ha costruito da sé, le sue paure, i suoi demoni.
Nell’oscurità della brughiera le due anime si cercano e si trovano, ma la strada è irta di ostacoli.
Lo definirei un romance dalle tinte gotiche, che ho letto con grande piacere e con il sottofondo mentale di Wuthering Heights di Kate Bush.
Insomma, non mi sono fatta mancare nulla per gustarlo nel pieno delle sue suggestioni dark.
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Ferebea direttamente dall'antica Grecia, il romanzo di Sabrina Nuti
Un altro gioiellino uscito dal salone del Libro di Torino: Ferebea - Un dono nell'oscurità (Italian Edition) di Sabrina Nuti.
La bella e dolce ma determinata protagonista, Ferebea, sembra uscita direttamente dall’antica Grecia ma allo stesso tempo possiede la forza e l’indipendenza di un’eroina moderna, che, grazie alla sua forza nel fronteggiare il destino avverso, la rende indimenticabile.
La cosa che più mi ha colpita è stata la capacità dell’autrice di riportarmi sui banchi del liceo, quando studiavo i miti e la storia della Grecia: qui però non c’è nulla di polveroso o lontano.
Grazie a descrizioni vivide e accuratissime, il cibo, le bevande, gli abiti, i gioielli, i paesaggi prendono forma davanti agli occhi del lettore con una freschezza sorprendente.
Dal Minotauro alle Amazzoni, passando per intrighi e guerriglie, ogni pagina trasporta in un mondo che potrebbe sembrare perduto nella nebbia del mito, ma che qui rinasce con immediatezza e originalità.
Persino i personaggi più oscuri come il temibile Minotauro acquistano sfumature di umanità, rendendo la lettura ancora più appassionante.
Un romanzo che unisce avventura, ricerca storica e profondità emotiva, consigliato a chi ama le ambientazioni nell’antica Grecia, con sfumature romance.
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Non è mai solo per un caffè: continua la serie CTRL Z di Greta Mercadante
Che delizia leggere il nuovo romanzo di Greta Mercadante Non è mai solo per un caffè.
Già dal titolo si intuisce che nulla, tra queste pagine, è banale: nemmeno il gesto quotidiano e apparentemente semplice di bere un caffè.
La scrittrice, una donna talentuosa, ricca di spunti artistici, ci invita a sederci accanto ai suoi personaggi e a condividere con loro la schiuma dolce e amara delle emozioni, il profumo intenso delle scelte, l’aroma pieno delle relazioni.
La protagonista, Zhoe, che già abbiamo imparato a conoscere negli altri libri della serie, è una donna che corre tra mille impegni, divisa tra il lavoro, la famiglia e il grande sogno della sua associazione, nata per offrire agli altri uno spazio di incontro e speranza.
Ma a rubarle il cuore e l’attenzione non sono solo i progetti e la famiglia: ci sono anche i legami, quelli che fanno tremare i polsi. Il marito Teo, con cui condivide una quotidianità fatta di consuetudini e incomprensioni; e Daniele, l’uomo che riporta a galla battiti di gioventù e sogni sepolti, con il quale l’attrazione è tanto irrinunciabile quanto proibita.
Tra dialoghi vivaci, scene domestiche piene di realismo e pagine che profumano di emozioni vere, Greta ci regala un romanzo corale: le amiche di Zhoe (Patty, Fiorenza, Oksana e Marisol) portano leggerezza, saggezza, ironia, e ci ricordano che la forza delle donne sta anche nella capacità di fare squadra, di ridere e di sostenersi a vicenda nei momenti storti.
Ogni personaggio sembra un tassello prezioso di un mosaico più grande, fatto di fragilità e resilienza.
La scrittura è scorrevole, fresca e intima: sembra di ascoltare una confidenza sussurrata davanti a una tazza calda, con la sensazione che ogni parola sia stata scelta per arrivare dritta al cuore.
Non mancano le situazioni buffe, che alleggeriscono la tensione e restituiscono quella dimensione autentica della vita quotidiana: un misto di drammi e piccole risate.
Non è mai solo per un caffè è un inno alla vita di tutti i giorni, con le sue contraddizioni, i suoi inciampi e i suoi colpi di scena.
È un romanzo che parla di amore, ma anche di amicizia, di coraggio e di ricerca di sé. E lo fa con leggerezza, come ci ha abituati l’autrice nei suoi romanzi della serie CTRL Z, senza mai cadere nella retorica, anzi con un sorriso complice che accompagna il lettore fino all’ultima pagina.
In definitiva, è un libro che fa bene al cuore: si legge in un soffio, come un sorso di espresso preso al volo, ma lascia addosso un calore che dura a lungo.
Perfetto da regalarsi in quelle giornate in cui si ha bisogno di una coccola, di un incoraggiamento, di ricordarsi che sì, la vita è complicata, ma insieme a un buon caffè… e a un buon libro, diventa decisamente più dolce.
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Il Tempo del Podestà - Una storia nella Storia
Condividevamo il Tavolo 5 nell’area Self e ricordo la sua energia contagiosa mentre distribuiva con passione i segnalibri del suo romanzo, fermando i visitatori, soprattutto i più giovani.
Solo dopo aver letto Il tempo del podestà ho compreso la ragione di tanto entusiasmo: il libro affronta una pagina fragile e complessa della nostra storia, e per questo Maugeri sente l’urgenza di farla conoscere.
Perché, come si ripete spesso, ricordare è l’unico modo per impedire che la storia torni a ripetersi.
Il romanzo ci porta in un borgo rurale del Lazio, sospeso tra tradizione e cambiamenti epocali.
L’autore sceglie di raccontare l’ascesa del fascismo attraverso due prospettive opposte ma intimamente legate: quella di una giovane cameriera e quella del podestà del paese.
La loro diversità sociale diventa il terreno di un confronto umano che travalica le gerarchie, poiché entrambi vivono le stesse paure, le stesse incertezze e la stessa, ostinata, speranza di futuro.
Sono proprio i due punti di vista, inusuali, a dare originalità al racconto e a regalare al lettore un’immersione realistica nella narrazione.
Nel tessuto di voci che compongono la vicenda affiora l’anima di un borgo contadino: una comunità che prima resta silente di fronte ai venti della politica, poi ne avverte le ferite e infine si affida a una resistenza sommessa, quotidiana, ma capace di forza inattesa.
Tra i vicoli stretti, dove le case si sfiorano come i destini, la vita si intreccia e si sorregge, anche quando l’ombra del potere sembra oscurare ogni libertà.
Il pregio del romanzo sta proprio nel restituire una dimensione intima e realistica al periodo storico: la Storia con la “S” maiuscola non è un fondale statico, ma un’onda che travolge e costringe a reagire, a volte in modo inaspettato.
Maugeri riesce a rendere tangibile il peso del tempo, con una scrittura capace di fondere sensibilità narrativa e attenzione documentaria.
Il tempo del podestà è un libro che parla di memoria, di dignità e di resistenza morale, e che conserva una sorprendente forza di attualità.
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L’Edera di Serse Tacus: un memoir da leggere davanti al caminetto acceso
C’è qualcosa di antico e insieme di intimo nelle pagine del memoir di Serse Tacus, L’edera.
Un libro che sembra fatto per essere letto al tepore di un caminetto, con la neve che scivola silenziosa oltre i vetri, mentre le voci dei protagonisti si intrecciano come fili di un arazzo familiare.
L’autore ci conduce a Cludinico, piccolo paese della Carnia, e ci fa entrare nella casa di sei fratelli e dei loro genitori, seguendoli dagli anni Venti ai primi anni Ottanta del Novecento: anni di fatica, di partenze mancate, di lutti improvvisi, di guerra e di speranze che faticano a fiorire.
Il simbolo che attraversa l’intero racconto è l’edera, pianta umile e tenace, capace di stringere con forza ciò che ama. Non a caso i fratelli, ritratti insieme nel 1983, la tengono in mano come pegno di unione indissolubile: più eloquente di qualsiasi parola, più duratura delle stagioni che li hanno messi alla prova.
Serse Tacus scrive con una voce limpida e partecipe, che non indulge mai nel sentimentalismo ma riesce a restituire la dignità silenziosa di chi ha vissuto nella discrezione delle montagne.
Le fotografie d’epoca e i materiali disponibili online non sono semplici appendici, ma completano l’opera come frammenti di un mosaico che appartiene non solo a una famiglia, ma a una comunità intera.
A rendere il libro ancora più prezioso è il suo dono: i proventi vengono devoluti a cause di valore, trasformando la memoria in gesto concreto di cura.
Così L’Edera non è solo un memoir, ma un’eredità: un racconto che intreccia le radici con il presente, e che ci invita a riconoscere la forza silenziosa dei legami.
Sito web: lederastoriavera.it
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Come il pan di zucchero che si sgretola di Simona Rossi Lombardo
Una storia vera, anche se romanzata dall’autrice che porta il nome della protagonista.
Nel prologo, ambientato in Sardegna, la scrittrice immerge il lettore direttamente nel cuore del dramma, per poi alleggerire la tensione con qualche capitolo apparentemente più lieve.
Ma, poco alla volta, la caduta verso l’abisso ti trascina in un'immersione che diventa sempre più cupa e disperante.
Un racconto doloroso, in cui una giovane donna fa un incontro sbagliato, sbagliatissimo, che le condizionerà il resto dei suoi anni. L’errore porta con sé la pena e Simona dovrà scontare una colpa che non ha, e che le costerà la cosa più preziosa della sua vita.
Da qui il tema dell’affidamento, della responsabilità dei genitori, della tutela dei minori, della gestione di figli con famiglie potenzialmente problematiche.
E chi può effettivamente capire in cosa stia il problema, e se in realtà ci sia? La legge in merito ha subito diverse modifiche e, all’epoca della narrazione, nei primi anni del Duemila, era ancora piena di lacune.
L’alternanza del punto di vista delle due protagoniste, i personaggi perfettamente caratterizzati, la Sardegna come spettacolare cornice, a volte amica nella sua bellezza, a volte greve nelle sue asperità, mi hanno fatto leggere queste pagine in pochissimo tempo, in un aumento di tensione che mi ha fatto rimanere col fiato sospeso.
Ricco di significati simbolici e metaforici, il libro merita di essere letto e meditato, perché certe problematiche, anche se non vissute in prima persona, fanno pensare al significato dei rapporti umani, alla vita, ai veri valori, alle strade così difficili da scegliere e poi da percorrere, per ognuno di noi.
Ho anche apprezzato le note finali dell’autrice che confermano il lavoro svolto con attenzione e meticolosità.
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Un romanzo alla ricerca dell'Italia perduta: Girotondi d'acqua di Rodolfo Fellini
Girotondi d’acqua di Rodolfo Fellini potrebbe essere un romanzo che racconta la storia di una bottega di alimentari in un piccolo paesino dell’Alto Lazio.
Infatti è proprio dalla reale chiusura del negozio di paese, ultimo baluardo di un tempo lontano, che lo scrittore ha raccolto lo spunto per narrare le vicende tutte italiane dei suoi personaggi dal dopoguerra al post sviluppo economico, in un elogio della lentezza e del saper ascoltare
Perché l’autore si è preso tutto il suo tempo, tre anni fitti di scrittura, per srotolare davanti al lettore le storie di una decina di personaggi che si avvicendano in quest’area un po’ lontana dalla modernità, in un arco temporale che va dal 1965 al 2018.
Dopo aver letto il libro ho fatto una chiacchierata con Rodolfo, che tra l’altro avevo avuto il piacere di conoscere alla Fiera del Libro di Torino, (Tavolo 5 - Area Self, insieme a me) e i suoi ragionamenti sulla scrittura della sua opera sono stati davvero interessanti.
A lui è piaciuto indagare la figura di “madre”, analizzata da tanti punti di vista e in diverse vesti: dalla Chianina, nonna di Brunello, donna forte e determinata; a Elisabetta, madre di Mirella, in un primo tempo dedita al marito e ben inserita nel suo ruolo, poi donna libera di esplorare la sua creatività e di lasciarsi andare alla propria sensualità; e Mirella stessa, mamma senza aver scelto questo ruolo, alla ricerca della sua identità in giro per il mondo, con esito deludente e doloroso. La zia e maestra Lidia, che non ha figli ma che si comporta da mamma con i suoi amati alunni e con Brunello e infine Bettina e Linda, due bambine che diventano ragazze e infine donne mature a chiudere il cerchio… o il girotondo e da qui il titolo del romanzo.
La Tuscia è stata poco sfruttata in letteratura secondo Rodolfo, ed è per questo che la fa diventare protagonista tra i protagonisti umani.
L’ambiente, il lago, il verde fanno da sfondo e da guida ai sentimenti dei personaggi, tra cui per me il più singolare è Brunello, definito scherzosamente il burinello: un giovane senza filtri, sincero, spontaneo, schietto, a volte naïf.
Lui è il vero vincitore del torneo della vita, l’unico che rispetta totalmente i bisogni e i desideri degli altri, non si offende, non è vendicativo.
Lui è al servizio del prossimo, in tutta la sua innocenza.
Un personaggio non facile da delineare senza scadere nella caricatura, e l’autore c’è riuscito, regalando al lettore una figura dolce e originale.
Racconto nel racconto e piccolo cameo, la storia di Eva, la domestica, che viene da lontano e che ha subito enormi violenze da bambina, superando il profondo disagio con una calma saggezza che la rende irresistibile.
E infine, qual è il tema portante di Girotondi d’acqua?
A rispondere è l’autore stesso: “senza perdono non c’è speranza, e senza speranza non c’è vita.”
Consigliato a chi ama le saghe familiari ambientate tra le bellezze ambientali italiane, a chi predilige l’utilizzo di forme dialettali come caratterizzazione dei personaggi, a chi ha voglia di meditare sul significato della vita senza pesantezze e uno stile leggero, spesso allegro, proprio come è Rodolfo.
Girotondi d'acqua è su: Amazon
Pura, semplice vita di Gianluca Zanoni - recensione
È il tempo il vero protagonista di questo romanzo corale dal titolo Pura, semplice vita di Gianluca Zanoni.
Il tempo che si insinua nelle vite di quattro amici al bar, o meglio, con i loro culi sulla solita panchina, durante i primi anni Novanta, e che li accompagna avanti e indietro nelle loro esistenze e anche più lontano.
Alcune porte non andrebbero aperte mai, sono quelle che custodiscono i ricordi, le fragranze che fanno viaggiare nel tempo, i colori che ti ritrovi a osservare chiedendoti come potessero essere così vividi una volta.
I quattro amici si ritrovano, adulti, nella loro piazza (il potere della piazza – Piazza XXI Luglio), accanto al Bar Centrale, ma uno di loro, Enrico, è un po’ più in là, perché è il giorno del suo funerale.
Franco, Luca e la bellissima Giovanna, in questo giorno un po’ allucinante e faticoso, si rendono conto di essersi persi, ma anche di aver perso se stessi, in qualche modo.
Le loro storie si sono intrecciate tra profumi, odori, amori e il caleidoscopio di ricordi si intensifica, manifestando al lettore i loro percorsi complicati e affascinanti.
Chi di noi non ripensa con nostalgia a una piazza in cui si incontrava con gli amici?
E chi di noi non ha perso qualcuno, in maniera inaspettata, soffrendo per non aver fatto, detto, amato abbastanza?
Il coinvolgimento del lettore è una spirale in cui sembra ritrovare se stesso, a tratti, nei ricordi di gioventù, nelle serate a bere birra e a cazzeggiare, nei momenti di svolta, nelle scelte difficili, negli sbagli fatali, nel trovarsi adulto senza che qualcuno si prenda la briga di spiegare cosa succede alla vita.
Fino a ritrovarsi stupefatto, deluso, incredulo che tutto quel tempo sia passato appiattendo e rimescolando quell’energia che sembrava infinita.
È la vita, Franco, non sempre va come vorremmo.
Il tempo è protagonista, dicevo, e in particolare il mese di luglio, in cui sembra che le cose importanti accadano: i compleanni di alcuni di loro, lo sbarco sulla luna, l’attentato fallito a Hitler, la strage nazi fascista che ha sconvolto Robecco, il paesino in cui si svolgono molte scene, il G8 a Genova, e questa mia lettura, guarda caso, capita proprio a luglio.
A stare fermo e immobile, quasi a segnare con i suoi cerchi il tempo che passa, il vecchio pino: Era lì trent’anni prima, è lì ancora adesso. Il tronco è forte, grande, un uomo non riuscirebbe ad abbracciarne la circonferenza. È lo stesso albero, eppure è sicuramente cambiato negli anni.
E il monumento in memoria della strage dice:
“Ci troverai morti o vivi con lo stesso impegno”.
E davvero morti o vivi i nostri nonni, i nostri padri sono dentro di noi, a raccontarci quello che non hanno potuto vivere, a sperare che la nostra storia possa essere più serena.
Ogni elemento, in quella Piazza XXI Luglio, sembra trasmettere qualche cosa di importante:
…questo villaggio ha una piazza che ricorda un dolore sul quale la vita ha trovato modo di fortificarsi.
Come i tre ex ragazzi superstiti che trovano la forza di riconoscersi attraverso il dolore per la perdita di Enrico, l’amico ritrovato troppo tardi.
L’amico, tra le sue debolezze, lascia loro un’eredità che Franco, Luca e Gio tenteranno di raccogliere, ricucendo le loro vite attraverso un arco di trasformazione che li troverà più consapevoli e disposti a cambiare.
Perché non c’è disperazione più grande di quella di non aver accettato di vivere.
L’autore a tratti è anche poetico, piacevolissimo da leggere, come se desse una carezza al lettore:
I ricordi, il presente, l’aroma del caffè della moka, il sole che fa capolino fra le nuvole: pura, semplice vita che bisogna solamente lasciar scorrere, nelle vie che conducono al cuore, nei pensieri che si trasformano in sogni.
Ho sottolineato molte frasi in questo libro, alcune le ho volute condividere con voi, perché sono importanti per far “sentire” lo stile di Gianluca Zanoni di cui ho letto altri libri e che non delude mai.
Pura, semplice vita è un romanzo molto curato, con una trama intrigante che coinvolge sia per il lato umano, con una bella caratterizzazione dell’interiorità dei personaggi, sia per la narrazione che riserva diverse sorprese, fino all’ultima pagina.
Forse hanno semplicemente respirato troppo a lungo la stessa aria e condiviso sogni simili per potersi perdere per sempre.
Ho avuto il piacere di essere beta reader di questo bel libro, insieme a Ilaria Simonini, un'altra autrice che stimo molto, di vivere le sue trasformazioni e, soprattutto, di essere in fondo, tra i ringraziamenti.
Per tutti questi motivi correte a leggerlo, lo trovate qui, su Amazon.
Eclipse of the Heart: un romance di Elisa Maiorano Driussi che non vi farà dormire
Cosa ha di speciale un romance?
Non sono una grande lettrice di questo genere, ma sto divorando tutti i romanzi pubblicati da Elisa Maiorano Driussi perché contengono indubbiamente qualche cosa che mi appassiona.
Intanto sono collegati tra loro, anche se auto conclusivi, e questo è sempre molto piacevole per me come lettrice, e poi ci sono quel pizzico di originalità e piccantezza che mi fanno scorrere le pagine, riuscendo a catturare tutta la mia attenzione.
Appena Eclipse of the heart è uscito, l’ho finito in una serata.
I protagonisti sono una ragazza di origine indiana, Priya, che studia per diventare astronauta, con l’idea fissa di partecipare al progetto Marte alla NASA e un giovane giornalista, Dan, che non riesce ad allontanarsi da un evento catastrofico che ha deviato la sua esistenza.
I due, considerate le loro mansioni, hanno caratterini spiccati e, nonostante siano amici e anche qualche cosa di più, presto vanno in collisione, proprio come due asteroidi.
I capitoli si susseguono con i due punti di vista, bellissima la grafica con la sagoma di un pianeta a ogni inizio capitolo e i numeri delle pagine racchiusi in una piccola luna.
Priya deriva da una famiglia tradizionale che viene descritta con tutti i pro e i contro che ne conseguono, solo la nonna, un’anziana saggia, sa come trattare con la nipote e non manca di darle qualche dritta al momento giusto.
Voglio bene a ogni membro della mia famiglia di origine, anche se a volte li detesto per la loro ottusità e le credenze che sembrano uscite dal medioevo. Ma questa è la famiglia che ho scelto: le persone che sono sempre state al mio fianco nel mio cammino, le donne presenti nella mia vita che, in un modo o nell’altro, mi hanno aiutata ad arrivare dove sono oggi.
La scrittura è lineare e accattivante, le ambientazioni seguono gli umori dei protagonisti:
Dan guarda fuori, dove le onde continuano a lambire il muro. La luce del giorno è ormai quasi svanita. I suoi occhi, però, raccontano un’altra storia: brillano di un riflesso simile a quello dell’acqua che si frange a pochi metri.
Non mancano i momenti di passione:
Metto le mani intorno alla sua vita. “Se non ti tieni più forte, rischi di cadere…” Gira la testa di lato per parlarmi. Prende le mie ginocchia dal sotto coscia, mi sposta per i fianchi di qualche centimetro in avanti. Poi prende le mie mani e le riposiziona un po’ più verso il suo ombelico.
Ma ciò che caratterizza la scrittura di Elisa Maiorano Driussi è l’ironia, che fa da contraltare a situazioni difficili:
Certo, non porto il peso della responsabilità del mondo sulle mie spalle, ma se voglio diventare astronauta è per dare un contributo alla storia dell’umanità intera.
L’evoluzione dei due protagonisti è ben delineata, con l’ausilio di personaggi secondari che fanno da spalla alle avventure di Priya e Dan.
L’amore è un fattore difficile da comprendere e da gestire e questi due ne hanno di strada da fare per conoscere se stessi e per potersi accettare per come sono, con i loro desideri, i loro difetti e la loro passione.
Sono certa che non deluderà neanche i lettori che di solito non acquistano questo genere.
Disponibile in formato e-book e cartaceo su Amazon.
Dalle gare in venti righe a una raccolta di racconti: come ho conosciuto Alessandra Vasconi
C’è stato un tempo in cui, in un gruppo di autori su FB, facevamo gare di racconti in venti righe, alcuni li trovate in questo Blog.
È stata una sfida impegnativa perché dovevamo produrre una storia alla settimana e chi vinceva doveva inventare il titolo di quello successivo e organizzare a sua volta l’evento.
Ho conosciuto in quella occasione parecchi scrittori interessanti, perché cimentarsi in poche righe, e avendo a disposizione poco tempo, non è facile.
Credo che questo esercizio ci abbia forgiati e anche migliorati, perché si poteva commentare, dare suggerimenti e un paio di editor, Marcella Garau e Lucia Codato, ci spronavano e correggevano.
Insomma, ci siamo divertiti e siamo cresciuti con nuove consapevolezze.
Il tempo è passato e, proprio al Salone del Libro di quest’anno, dove ho potuto presentare i miei romanzi, ho incontrato una di quelle autrici, Alessandra Vasconi, di cui ho appena finito di leggere la sua raccolta: “I racconti di Alessandra”.
Ve ne parlo perché si tratta di parole curate, eleganti, consolatorie e piacevoli, che consiglio a chi desidera fermarsi un attimo e godersi pensieri dolci e profondi, anche se presentati con leggerezza.
Brevi racconti che fanno pensare, sorridere, sognare, come appare nella dedica iniziale:
A chi ha perso la strada,
ma non si arrende.
A chi continua a sognare,
nonostante tutto.
Questa pubblicazione è nata da una favola che Alessandra Vasconi ha scritto per i suoi figli, a cui sono seguiti racconti introspettivi e intimi, momenti di vita, storie di cadute e di rinascite, di partenze e di ritorni, ma anche brevi momenti di evasione, per citare la sua nota introduttiva.
Solo alla fine di questo inatteso e delicato percorso il lettore troverà una sorpresa che lo ricollegherà alla dedica iniziale e al primo racconto: Il commercialista… (Quando ti senti perso) che si trasformerà nell’ultimo capitolo: …Il commercialista (Abbraccia i tuoi sogni. E brilla).
Curiosità: la scrittrice, che ha ricevuto premi e riconoscimenti a livello nazionale, come altro lavoro, fa proprio la commercialista!
La raccolta I racconti di Alessandra – CTL Editore - Livorno – Libeccio Edizioni - la trovate qui.
Recensione del romanzo Il nodo del tempo di Alessandro Russo e breve intervista all'autore
Il nodo del tempo è un romanzo che viaggia su due binari: il primo è accogliente, adorabile, fatto di premure e dolcezze, in cui le famiglie, che si susseguono nella narrazione a partire dai primi del Novecento, sono amorevoli, unite.
In loro brilla la forza dell’amore, in grado di superare difficoltà economiche, situazioni dolorose, morti.
Ed è proprio la morte che porta il lettore su un altro piano, quello delle due guerre, degli anni di piombo, dello Stato colluso, degli attentati.
Sembra impossibile che l’Italia minuta, fatta di persone per bene che studiano, lavorano, si amano, sia la stessa della guerra che uccide, dei terroristi, dei politici che non fanno mai la cosa giusta, della strategia del terrore.
E l’autore Alessandro Russo, abilmente, intreccia queste due realtà, passando dal racconto intimo fatto di scelte, coraggio ed emancipazione a quello sociale, colmo di orrore e di eventi insensati.
Assunta, simbolica figura femminile, è la madre del protagonista, una donna forte che arriva dal sud, intenzionata a realizzarsi, anche per compensare la morte di ben due fratelli in guerra. Lei studia, si informa, si laurea, diventa insegnante e trasmette al figlio Ludovico tutta la sua instancabile determinazione, perché il mondo, forse, si può cambiare, passando da piccoli e sottili mutamenti.
Anche a inizio secolo le donne cercavano di emanciparsi per vivere la vita che desideravano, ma il sistema le rimetteva sempre al loro posto. Ora nessuno ci dice esplicitamente dove stare, ma se scegliamo strade diverse o pretendiamo la parità vera, si aspettano che ci giustifichiamo. È una libertà condizionata, in fondo.
Ludovico da questa figura iconica assorbe il rispetto per le donne, la voglia di verità, la determinazione a raggiungere gli obiettivi.
Ma, quasi a tradimento, come succede spesso nella vita, qualcuno che sta molto lontano lo coinvolge, fino a fargli dubitare di tutti i sacrifici fatti fino a quel punto.
Il giovane infatti si innamora di Alina, una ragazza russa che studia medicina.
Un’altra donna forte, che rimanda alla madre, e che vuole diventare dottoressa, pur amandolo intensamente.
La lontananza non aiuta i due innamorati, ognuno intento a perseguire i propri obiettivi, ma un amico arriva a salvare questo amore che sembra impossibile.
Un rocambolesco viaggio improvvisato dalla Torino piena di fascino a una magica Leningrado, sulla mitica auto FSO 125p e tra le note di David Bowie, lo porta a trovare se stesso, a capire il suo vero volere, aiutato da una provvidenziale proposta di lavoro legata al suo impegno all’università come sociologo e scrittore giornalista.
Dopotutto, come giustamente rileva il protagonista:
Per costruire un futuro migliore, è necessario conoscere e rispettare il passato.
Ed è tramite gli eventi che segnano la sua crescita e la sua coscienza politica come il terrorismo italiano degli anni Settanta, la strage di Piazza della Loggia a Brescia, la strage dell’Italicus, il sequestro di Aldo Moro, la strage di Bologna, che lui riesce a ritagliarsi un futuro possibile, salvando la sua idea di famiglia con la consapevolezza di ciò che è accaduto e che lo ha formato, usando queste ferite ancora aperte per comunicare agli altri verità scomode e spesso taciute, fino ad arrivare a scoperte sconvolgenti come la Loggia P2 di Licio Gelli.
Il romanzo è caratterizzato da una bellissima colonna sonora, da Rachmaninov a John Lennon, da preziose descrizioni di Torino e di Leningrado che accompagnano il lettore in un viaggio che è anche quello dei protagonisti:
Siamo compagni di viaggio, Alina. Magari un po’ lontani geograficamente, ma siamo lì, sulla stessa strada.
Un romanzo che è fatto di avventura, viaggi, amore, scelte e anche di visione di una politica marcia, deludente e, purtroppo, ancora attuale, in cui il protagonista prova a sciogliere il nodo del tempo, tenendo tra le mani una simbolica, vecchia bambola che ha segnato il passaggio generazionale e l’inesorabile passaggio del tempo:
“Mio zio l’ha fatta per mia madre, quando lei era piccola, tempo prima di partire per il fronte.” Fece una pausa, guardando l’oggetto come se potesse raccontargli una storia che ancora non conosceva. “È sopravvissuta a tutto: la guerra, i traslochi, gli anni difficili, le perdite incolmabili. Mia madre me l’ha data dicendomi che mi avrebbe sempre ricordato chi sono e da dove vengo, il legno è della conca di Agnano, a Napoli, dove tutto ha avuto origine.”
E il cerchio si chiude, con questo pezzo del nodo del tempo tra le mani di Alina e Ludovico, finalmente uniti, in un epilogo in cui l’Italia calcistica vince tre a uno.
La nazionale di calcio esce dall’aeroporto di Torino insieme alla coppia di sposi che, simbolicamente, afferra le ovazioni della folla, come se fossero rivolte a loro.
Un esito positivo e bene augurante per questa Italia che è anche fatta, soprattutto, di persone per bene.
Domande all'autore
1. Perché hai voluto scrivere questo libro?
Ho avuto la fortuna di lavorare circa 25 anni in giro per il mondo facendo il programmatore di robot.
Ho visitato luoghi, appreso similitudini e differenze culturali, apprezzato cibi e stretto tante mani.
Una di queste mani è di un collega di lavoro che ad inizio anni 80 ha lavorato in Unione Sovietica.
Durante gli anni di lavoro a Leningrado ha conosciuto l'amore e quando giunse il tempo di rientrare a fine progetto tirarono le somme e si scelsero. Lionello, il suo nome, affrontò non pochi problemi, iniziando dalla burocrazia.
Risolte le pratiche al consolato a Milano affrontò un lungo viaggio, direi epico, con una Fiat 1500, senza navigatore, senza telefono cellulare, senza mappe se non le poche che riuscì a reperire. Per tanto tempo l'ho incalzato spronandolo a raccontare tutto in un libro finché un giorno gli dissi che se non si decideva lo avrei fatto io. Mi spiazzò, mi disse di farlo.
Il nodo del tempo è il racconto di quel viaggio da cui prende spunto, dovendo raccontare il tempo storico in cui il viaggio avvenne ho amato scrivere e raccontarlo così come creare tutta la struttura familiare a ritroso fino agli albori del 900 per costruire il personaggio di Ludovico e far comprendere come le sue scelte abbiano radici profonde nel corpo famigliare. Inoltre, motivazione ancor più forte, ho sentito la necessità di raccontare il nostro paese, gli anni del 900 che troppo spesso a scuola non si studiano a sufficienza, la storia recente di un paese delicato, fragile, come la democrazia che lo governa.
2.Quale è il personaggio a cui sei più legato e perché?
La prima risposta potrebbe essere Ludovico, a cui tengo moltissimo, ma devo ammettere che il personaggio a cui ho dedicato pagine e parole, pensieri e ricordi, è Assunta. Lei è la mamma di Ludovico, una donna che porta dentro di sé i traumi infantili dovuti alla perdita prematura dei due fratelli caduti in guerra. Vivrà questo distacco con dolore eppure questo dolore le darà la motivazione per crescere disillusa, vivrà con la voglia di rivalsa per sé e per i suoi fratelli strappati prematuramente alla vita. La sua autodeterminazione non sarà fine a se stessa, parteciperà alle lotte per i diritti civili, in prima linea.
Assunta incarna lo spirito degli anni 70, la consapevolezza dell'essere donna in un mondo non ancora maturo per il cambiamento, che lotta per i diritti dei lavoratori ma trascura i diritti delle donne, la loro auto determinazione, il loro reale contributo alla società, relegandole sempre ad un ruolo subalterno, mai davvero paritario.
3. Ci sarà un sequel o cosa hai intenzione di scrivere prossimamente?
Sto lavorando a un romanzo breve, un dialogo immaginato tra Assunta ed i suoi fratelli, attraverso la corrispondenza dal fronte e il diario che lei amava scrivere nelle sere di raccoglimento. Sarà un testo molto intimo, doloroso, ma necessario per aggiungere al romanzo Il nodo del tempo un punto di vista ulteriore, un approfondimento, che aiuti ancor più a sviluppare e concretizzare agli occhi del lettore il rapporto tra i fratelli, il valore della memoria, il peso della perdita e la speranza.
Il progetto editoriale prevede inoltre altri due sequel: il primo si svolgerà nel periodo 1982-1989 mentre il terzo ci porterà alla discesa in campo dell'uomo politico che ha indubbiamente segnato il passo negli ultimi lustri, Silvio Berlusconi.
Ritengo impegnativo il progetto, indubbiamente affrontare tematiche sociali e politiche nel nostro paese espone a dibattito, ed è certamente un obiettivo, ed espone a dileggio in altri casi, e questo seppure contemplato non è certamente ricercato.
4. Il complimento più bello che ti ha fatto un lettore?
Ammetto che questo genere di romanzi non rientra nell'elenco dei best seller, eppure da coloro che lo hanno letto e dalle loro parole ho capito che certe tematiche sono molto sentite, attuali, che è necessario parlarne, confrontarsi. In alcuni casi ho avuto la conferma che il 900 è un periodo buio e noto per gli over 50, un buco nero nella storia per gli under 30. Sono contento di notare quanto i temicome i diritti civili, l'emancipazione femminile, la guerra,la famiglia, i sentimenti, siano temi che non lasciano indifferenti.
Nonostante le tante posizioni diverse trovo fondamentale aprirsi al dialogo, quello che è mancato dagli anni 80 e manca tantissimo nel nostro mondo iper connesso eppure frammentato, polarizzato, svuotato nei contenuti perché legato a facili slogan di propaganda.
Serve una decisa presa di coscienza, serve umanità.
Recensione del romanzo Guatemala - Anno del Signore 1975 di Patrizia Gaslini e breve intervista all'autrice
Nella nota dell’autrice si legge:
È una terra che si racconta, vibra, risuona, canta.
Ed è proprio dalla terra che sembra risalire questo racconto che definirei corale, anche se la vera protagonista, oltre alla magnifica ambientazione, è una dottoressa dal nome evocativo (e parlante): Fiamma D’Oriente.
Bionda e con occhi azzurri che non possono tacere, così diversa, arriva come volontaria in una sperduta missione gestita da Padre Luca, prete impegnato a espiare il suo peccato che nasconde come un segreto inconfessabile.
Tra i personaggi più intensi c’è Juanita, la Vieja, una piccola e antica sciamana, guaritrice, cuoca sopraffina, amica degli animali. Lei è come la terra, è accogliente, dolce e profumata, ma anche determinata e dura, all’occorrenza.
I bambini della missione la adorano, tutti la amano e la ascoltano.
"Lo sciamano capo in persona l’aveva addestrata all’arte di sapersi muovere, ora come il giaguaro, ora come il cobra: le ripeteva che l’animale più goffo, rumoroso e prevedibile, è proprio l’uomo, il cui odore, i cui pensieri, le cui intenzioni vengono captate a centinaia di metri di distanza."
Sembra che in fondo sia lei o la sua saggezza a tirare le fila del racconto, insieme alla sua aquila guida che sovrasta le pochezze umane in quei cieli immensi, orizzonti infiniti, capaci di regalare colori stupefacenti, uragani paurosi e terremoti catastrofici.
I Cenfuegos sono una famiglia simbolo di sfruttamento e ferocia nei confronti del Popolo affamato e sottomesso, con l’aiuto di Francisco de Blanc, figlio di un Generale in carriera, che deve decidere che strada prendere: seguire le terrificanti direttive del padre o assecondare la sua indole dolce e artistica.
Fiamma si trova in mezzo a situazioni difficili, malati da curare, uomini forti abbattuti da mostri senz’anima. La sua discesa verso l’inferno della cattiveria umana sembra non finire mai.
"La malattia è dolore, ma anche riflessione e un paio di occhi nuovi per vedere il mondo, quello di tutti i giorni, quello dove, a volte, ci si accanisce per sciocchezze e ci si abbatte per cose futili, quello dove una giornata di pioggia è uguale a una di sole, quello dove tutto scorre senza mai fermarsi, mentre il nostro mondo interiore ha bisogno di attenzione e ritmi più lenti."
Questa frase di un paziente la fa riflettere e tutti i passaggi del romanzo fanno meditare e crescere il lettore che, capitolo dopo capitolo, si immerge sempre più in quella terra fatta di alberi, grotte, acqua, montagne, altopiani.
E poi ci sono il terribile Rossano Cenfuegos, tirannico e patetico marito di Regina, la donna che impara a ribellarsi, in un cammino che è insegnamento e luce per tutte le donne oppresse e umiliate.
Candido, amico, compagno, figlio, dal volto radioso, non si può non tifare per lui, e il buono e affidabile El Gigante.
Fiamma sopporta situazioni paurose e si fa in cento per aiutare quella gente senza speranza, finché non si accorge che c’è qualche cosa che non sa, di cui non l’hanno messa al corrente, e fugge, sentendosi tradita, sola, estranea, indegna anche di quella fiducia che, in fondo, le dovevano, come unico compenso al suo lavoro e alla sua dedizione.
Moreno è il cattivo più cattivo di tutti, perché ha un ‘difetto fatale’ che lo spinge a reagire, ad andare contro gli insegnamenti di Padre Luca e le sue vendette sono temibili e terribili. I suoi occhi di colore diverso diventano simbolo della guerriglia interiore che lo caratterizza. Solo l’immagine della Madonna, e quindi l’amore, forse, lo può fermare.
Non manca il Popolo, silenzioso, laborioso, rispettoso:
“Questa gente ha bisogno di poco, non ha pretese e comunque andranno le cose, sarà grata a questa missione e alle persone che si sono date da fare per loro. Imputeranno ogni tragedia al Cielo e la trasporteranno sulle loro spalle, come uno dei tanti fardelli di cui sono abituati a farsi carico, in modo rassegnato ma consapevole e nella disgrazia, come nella gioia, saranno solidali più di quanto non siano stati già prima che questa calamità naturale si abbattesse sulle loro vite.”
Le vite dei personaggi si intrecciano, si scontrano, nascono amori e muoiono innocenti, in quadri epici, degni della narrativa americana novecentesca, in cui le piccole storie quotidiane diventano simbolo e narrazione universale.
Un libro bellissimo e scorrevole, che consiglio vivamente a chi ama i racconti avventurosi, con cenni di romance, con una base storico sociale intensa e un’umanità eroica mossa da ideali universali.
Domande all'autrice:
Perché hai scritto un libro con questa tematica:
Perché Il Guatemala è stato il primo viaggio della mia vita, anno 1985, quando la globalizzazione non aveva ancora piantato le sue radici nefaste. Un viaggio avventuroso, nel cuore di un paese straordinario per la natura, il folklore, la gente semplice e accogliente e quel senso di magico radicato nelle abitudini, insieme alla credenza che Dio sia ovunque, nelle montagne, nei raccolti, nelle stagioni e che gli spiriti si trovino negli oggetti e tengano insieme l’universo.
Della sua situazione politica invece, ignoravo pressoché tutto; per girare il paese ci avevano obbligato a mettere dei cartelli sul cofano delle jeep, con ben visibile la scritta ITALIA per identificarci in caso di blocchi militari. Al rientro, avevo deciso di approfondire l’argomento. Così avevo letto gli scritti di Rigoberta Mentchù e della sua lotta contro l’annientamento della cultura Maya, da lì avevo scoperto l’esistenza di documenti come la Memoria del Silencio e Nunca Mas coi loro contenuti di inenarrabili violenze e genocidio, e i rapporti sui desaparecidos che in questo paese hanno superato per numero quelli del Chile di Pinochet.
Così sono stata folgorata da una realtà che ero lungi anche solo dall’immaginare: solo una delle tante guerre dimenticate e sconosciute al mondo. Da tutto questo ha preso parola il mio racconto.
Cosa vuoi trasmettere al lettore?
Che un titolo è già un intero romanzo
Che è solo facciata quel che vediamo degli altri
Che umanità è comprensione
Che la natura è Dio
Che il caso ci prende per mano e la vita è il suo disegno
Che in Guatemala, la libertà ha le ali del quetzal
I personaggi sono ispirati a persone vere?
I personaggi sono frutto della mia immaginazione. Sono usciti dalla penna e hanno preso vita un po’ per volta, senza un modello a cui ispirarmi, senza riferimenti a qualcuno, avendo però ben presente il contesto in cui si muovevano e i racconti documentali di quel periodo. E anche se non sono persone vere, sono certamente esistite figure identiche con nomi diversi, perché la storia si ripete, i cattivi sono cattivi, assassini o carcerieri, e la loro ferocia può vestirsi di mille versioni, così come i buoni sono sempre buoni, vittime o eroi, e loro azioni mirano sempre allo stesso fine: evitare che il male trionfi. Si tratta solo di dare volti e fisionomie ed essere consapevoli che comunque la realtà supera sempre la fantasia.
La mia giovinezza, il mio primo viaggio, il mio romanzo.
˜˜˜
Guatemala è acquistabile
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Intervista al Salone del Libro di Torino 2025
Artemisia troverà le risposte che cercava - Recensione del romanzo La scelta di Artemisia dello scrittore Alessandro Russo
La scrittura è scorrevole, ricca di descrizioni e dettagliata, i personaggi sono meravigliosamente inseriti nel racconto.
Artemisia affronta le sue paure, lotta per affermarsi e contro gli stereotipi.
Ho amato questo romanzo, interamente.
Le storie dei singoli personaggi si intrecciano creando un tessuto eterogeneo di vite degne di essere vissute nonostante le difficoltà e sofferenze che ognuno deve affrontare lungo il cammino, sia esso metafisico o su vette a oltre 4 mila metri.
Nonostante il desiderio di paternità molto forte Arturo non antepone mai se stesso ad Artemisia e la sprona a lottare affinché trovi il suo baricentro. Una coppia molto affiatata.
Le donne da sempre hanno bisogno di essere un passo più avanti, più in alto, non deve essere così difficile, non bisogna mai mollare, la nostra società è donna.
Alessandro Russo ha scritto: Il nodo del tempo che si trova qui su Amazon.
La scelta di Artemisia la trovi qui su Amazon.
A passo disuguale - recensione del romanzo di Ilaria Simonini
Già il titolo: A passo disuguale – Mattia, la rossa del treno e il Dylan Dog n. 49, fa comprendere che si tratta di un romanzo succoso. Almeno per me.
Infatti ho letto decine di Dylan Dog, (ma, come dice Loris, chi non ha mai letto un Dylan Dog?), per anni sono andata in treno all’Uni di Genova, a volte mi tingo i capelli di rosso, perché vorrei tanto averli così.
Mattia invece non ha alcun ruolo nella mia vita.
A parte gli scherzi, Ilaria Simonini, che quest’anno ho potuto conoscere gioiosamente di persona al SalTo, dove era presente all’interno della CE Spirito Libero con cui collabora pure, è una scrittrice talentuosa.
Alcuni di voi, Lettori, avranno avuto l’occasione di sbirciare tra i suoi racconti Post to Post in cui prima narrava le sue vicende negli USA e ora quelle in Italia, dove è tornata. Oppure avranno letto con passione il suo primo romanzo: Broken Time Hotel.
L’ironia è la cifra che la distingue, ma nel romanzo in questione c’è anche qualche cosa di romantico, di doloroso e di misterioso.
Il narratore è Loris, amico di Mattia, che ci fa entrare nella loro vicenda con un punto di vista originale.
Mattia, a cui sono riservati alcuni capitoli “Feritoia” (dolorosa la Feritoia 5 - Davanti alla tua foto) è insensatamente innamorato della rossa del treno e vuole trovarla a tutti i costi. Loris, il grande amico, è pazzerello, con una mal repressa vena artistica che sfoga in annunci immobiliari strampalati e in buffi messaggi in segreteria telefonica che confondono i clienti, a dire di sua madre.
I due infatti lavorano nell’agenzia immobiliare della signora Adele e frasi tipo: Eravamo le Charlie’s Angels geneticamente modificate, mi hanno fatto morire dal ridere, così come: La sciagurata rispose.
E come non amare la mitica signora Adele Nanni… Confesso che certe tremende descrizioni mi sembrano quelle che i miei figli dedicano me, ridendo, ma le fanno quelle bestie di satana, (escludendo battute sui tacchi, perché li odio).
La madre schizzata è un personaggio unico e ha pure un cuore (e da qui il detto cuore di mamma): È una donna che ha sempre affrontato la vita con enfasi; e allo stesso modo ha affrontato la morte, passandoci attraverso con tutta l’anima.
E la rossa del treno… che cosa significherà davvero per Mattia e cosa c’entra il fumetto Dylan Dog? Si tratta solo di una scusa per abbordare il ragazzo? La sua personalità è complessa e la sua anima nasconde un segreto.
Alice, la sorellina di Mattia, che fa il DAMS, una tipetta non convenzionale, convertita al mondo dei fumetti, come viene definita, ha un ruolo significativo e mi piace molto.
Sulla famiglia aleggia una perdita e la visita alla mamma Elisa, con gli stessi occhi dei figli e quel sorriso malinconico che aveva preso ad appartenerle da qualche anno a questa parte, anche le volte in cui era felice, nei pressi di La Spezia, prima di andare al cimitero, strappa il cuore. Ogni tomba è un’isola di pensieri.
L’ambientazione fa da cornice alle vicende: Non sai cosa voglia dire una serata romantica se non hai vagato ore, la notte, per i vicoli bolognesi. Con l’anima tesa alla persona a fianco, la testa in disordine, il cuore in fermento.
Ma Ilaria parla anche della Liguria di Levante, dove è nata: Per quante volte avevo fatto avanti e indietro su quelle valli strane, coi monti di marmo da un lato e il blu dell’acqua dall’altro.
Non manca il gatto nero (che non è rosso) e che si aggira nei suoi racconti.
Si parla anche di malattia, in maniera seria e sentita: La malattia del corpo e quella del dolore hanno qualcosa in comune. Piegano. Piegano la schiena. Frantumano le ossa, se non trovi un appiglio a cui aggrapparti.
Questo romanzo è un insieme di belle parole, di personaggi ben caratterizzati, di luoghi dei ricordi, di speranza, di ricerca, è qualche cosa che ti avvolge tra le sue spire, fino all'ultimo capitolo.
Se questa recensione vi sembra un po’ strampalata è perché la sto scrivendo di getto e traboccante d'amore. Infatti in questo libro, in fondo, tra i ringraziamenti, ci sono pure io. Questa cosa la amo pazzamente, ma lo sapete già.
Concentratevi invece sui piccoli estratti che sono perle di bellezza.
Quindi non vi resta che correre a leggere A passo disuguale di Ilaria Simonini - Edizioni Spirito Libero e la recensione fatevela da soli… ma ricordate di metterla su Amazon!
19 - Una sorpresa tra i grattacieli e fine del viaggio - Road Trip dalla Route 66 al Pacifico
Capitolo 19
Il Golden Gate Bridge da una parte e il Bay Bridge dall’altra si riflettono come stelle nell’Oceano Pacifico, con le loro luci e i lampioni.
Sul lungomare centinaia di persone, moltissimi sud americani, munite di gadget illuminati, borse piene di cibo, tavoli e sedie da campeggio si appostano per assistere ai fuochi di Capodanno che verranno sparati sul mare proprio davanti all’ingresso del nostro hotel.
Gli ambulanti, offrendo ai passanti occhiali con la scritta 2025, si moltiplicano, presentando giochini luminosi che saltano, girano, volano, rotolano tra le gambe della gente.
I chioschi di hot dog e verdura fritta emanano un profumo che si impadronisce dell’intera passeggiata.
Ogni pochi metri si appostano agenti della polizia in divisa, il Pier con la centrale Fire Boat è decorata con fili colorati e intermittenti, sulla soglia staziona una splendida auto dei Vigili del Fuoco di un rosso fiammante e lucido.
L’atmosfera è allegra, nessuno beve alcol, è severamente vietato, nessuno fuma. La disciplina della folla è stupefacente, niente cartacce in terra e nessun botto.
Camminiamo lentamente, assaporando gli ultimi minuti dell’anno, senza fare resoconti o progetti, godendo della brezza del mare e di quella piacevolezza semplice e giocosa.
Osservo i passanti e gioco a creare storie, partendo da una mezza frase acchiappata al volo, da un gesto, da un atteggiamento. Le vite si intrecciano, si incontrano, si scontrano in un’infinità di narrazioni che vorrei fermare sulla carta. Ma ogni cosa ha il suo tempo, e ora posso permettermi di non fare nulla, se non aspettare il nuovo anno dall’altra parte del mio mondo.
Alcuni motociclisti passano impennando, sembra che si stiano sfidando pericolosamente, auto con i finestrini aperti scatenano sonorità trap. La strada viene chiusa al traffico, alle ventitré e trenta iniziano i fuochi.
Ci assiepiamo fuori dall’hotel, insieme ad altri avventori sconosciuti. Le luci brillano nel cielo e scoppiano in mille riverberi, assordanti, esagerate. Se non fossimo consapevoli di essere negli States, potremmo trovarci in un qualsiasi lungomare ligure.
Aspettiamo la mezzanotte guardando tra cielo e mare, un po’ stanchi, un po’ storditi. Finalmente qualcuno fa il conto alla rovescia e scocca il passaggio dal 2024 al 2025. Silenzio.
Noi quattro ci abbracciamo, ci facciamo gli auguri. La famiglia è un vero regalo e penso che, anche se la fatica è tanta, in questi momenti comprendo quanto sia importante, anche per me.
Ci ritiriamo subito nelle nostre stanze esausti e felici di avere la camera a pochi metri, pronta per accoglierci. Come noi, molti rientrano e vanno a dormire. Un ultimo brindisi al nuovo anno con la birra avanzata e… Buonanotte!
La colazione in hotel è semplice ma buona, partiamo a piedi per andare a vedere i famosi leoni marini.
La città è deserta, gli addetti alle pulizie stanno lavando le strade che sono già abbastanza in ordine, se penso alla folla di ieri sera e alla festa che ha avuto luogo.
Camminiamo nell’aria pulita, frizzante e luminosa del mattino, nel silenzio interrotto solo dal mare e dal vociare dei gabbiani. Raggiungiamo il Pier più famoso: il numero 39.
Si tratta di un’area turistica e commerciale costruita su questo molo negli anni Settanta. Giriamo sulla banchina di legno, tra negozi e ristoranti che aprono con calma.
Sui pontili alcuni leoni marini si fanno fotografare, sfoggiando i lughi baffi, gli occhi a mandorla e i corpaccioni abbandonati al sole oppure, dondolandosi sornioni, con il nasino puntato verso il cielo.
Prenotiamo un tour dell’Isola di Alcatraz con la barca Bay Cruise che sembra aspettare proprio noi.
Si parte e lo skyline di San Francisco appare in tutta la sua bellezza, aggraziato, con i parchi verdi, le strade che sembrano piste senza neve, i grattacieli, la ruota panoramica, i cormorani un po’ goffi che zampettano su un molo.
Ci allontaniamo e un enorme gabbiano sorvola la barca, è molto vicino, si posa a prua e ci guarda con aria di sfida.
Passiamo sotto al Golden Gate Bridge, ci dirigiamo verso la prigione di Alcatraz, l’isola è grande e un po’ sinistra. Penitenziario federale dal 1934, quando vennero ospitati i primi centotrentasette detenuti, tra ladri di banche e assassini, per ventinove anni vide sfilare personaggi come Al Capone. Famoso per l’estrema durezza con cui venivano trattati i prigionieri, per lo più pericolosi, e per i rocamboleschi tentativi di fuga, chi non ricorda il celebre film Fuga da Alcatraz, girato proprio sull’isola, con il grande Clint Eastwood.
Finito il giro in barca prendiamo una Waymo, qui le auto senza conducente circolano da diversi anni e possiamo stare tranquilli. Gentilmente ci porta al Golden gate Park, vediamo il parco giapponese, mangiamo qualche cosa di veloce su una panchina e ci facciamo trasportare da un’altra Waymo nella China Town. A me non interessa molto, e infatti non trovo niente di meglio che in tutti gli altri quartieri cinesi visti in altre città. Trovo le strade piuttosto sporche e sinceramente non vengo folgorata da alcuno spunto.
A piedi ci dirigiamo a Union Square, piena di gente che si gode il primo giorno dell’anno pattinando sul ghiaccio.
Attendiamo la sera per prendere un bus e fare il giro di San Francisco di notte con le sue luci natalizie, i due ponti che percorriamo ben intabarrati, comodi nella parte superiore del bus, facendo svolazzare le sciarpe, arrivando fino all’Isola di Yerba Buena.
Il nostro viaggio è quasi finito, andiamo a dormire con questa meravigliosa città nel cuore, una delle più belle tra quelle degli USA che abbiamo visto fino ad ora e individuiamo un ultimo giro per domani mattina, prima di andare in aeroporto e affrontare il lungo rientro con scalo a Monaco di Baviera.
Oggi c’è il sole, è il due di gennaio, quando le feste passano mi sento bene, come se avessi adempiuto a un compito difficile. Tiro un sospiro di sollievo e sono lieta di lasciarmi alle spalle i festeggiamenti che tante volte sono stati dolorosi.
Ma il passato è passato, adesso prendiamo un ascensore e, quando si aprono le sue porte, ci troviamo in un grande parco in cima ad alcuni edifici modernissimi.
L’effetto sorpresa è assicurato, quando mai mi è capitato di accedere a un parco con l’ascensore?
Qui è tutto grande e impressionante, si fa fatica a capire che ci troviamo al quarto piano e che i viali, gli alberi enormi, i fiori, il bar, le fontane, le panchine, i prati si trovino tra i grattacieli.
Non si tratta di un parco di quelli dove andiamo noi con i bambini piccoli, ma di un vero, grande parco americano, in cui si fa yoga, si balla, si corre tra i ginkgo biloba, le palme, gli aceri gli abeti.
Non mancano le curiosità: una fontana viene attivata dal tram che passa a pianterreno. Infatti, quando si sente in lontananza il suo clangore, ecco che alcuni getti di acqua si alzano in successione, formando quasi una danza. Il Bus Fontain registra i movimenti dei bus sottostanti, attivando l’acqua al quarto piano. Una colonnina spiega il meccanismo che trovo divertente e spettacolare.
Il bar è pieno di tavoli fuori e dentro, prendiamo un caffè e torniamo sui nostri passi: è quasi ora di partire, i bagagli ci aspettano in hotel.
Mi prende uno dei miei magoni da nostalgia acuta che si scatena ancora prima che un evento finisca. Raccolgo da terra una foglia di ginkgo biloba dorata, la stendo per bene nella custodia del cellulare.
Una volta a casa ripercorrerò questo viaggio con i miei scritti, le foto, i ricordi che mi sono portata dietro.
Cammino sola davanti ai miei famigliari, quando un rumore, come un frullare di ali, accompagnato da un pigolio, attirano la mia attenzione.
Ci fermiamo tutti, gli occhi stretti, immobili, ma cosa sono quei piccolissimi animali che svolazzano alla velocità della luce, che rimangono sospesi per qualche secondo, il becco lungo che si infila nei fiori… ma sono i colibrì. Al quarto piano?
Sì, proprio loro, che hanno trovato in questa oasi verde la casa ideale. Sono così piccoli che peseranno pochi grammi, le piume iridescenti, un suono dolcissimo.
La mia mente da autrice corre verso il significato simbolico del colibrì: libertà, gioia, leggerezza, felicità, rigenerazione, abbondanza e amore. Secondo i nativi americani questo grazioso uccellino incarna uno spirito in grado di aiutare e curare le persone in difficoltà. E, soprattutto:
il colibrì simboleggia l’Infinito.
È quindi perfetto per concludere questa esperienza, incarnando proprio tutto ciò che ho vissuto in questo favoloso viaggio di famiglia, in cui spero di aver portato un po’ anche voi, cari Lettori che avete avuto la pazienza di arrivare sin qui, tra le meraviglie di San Francisco.
18 - Preparativi maldestri per il Capodanno a San Francisco - Road Trip dalla Route 66 al Pacifico
Capitolo 18
Un simpatico iraniano ci porta con il suo Uber al Griffith Observatory da cui si vedono le colline di Hollywood e la famosa scritta. Il posto è pieno di auto in coda, alla ricerca di un posteggio, sembra che mezza Los Angeles sia qui a fare pic nic e siesta.
Giriamo intorno all’osservatorio che è chiuso ma il luogo è molto scenografico, fotografiamo la grande scritta che compare in moltissimi film e spesso in Beautiful (perdonatemi come sempre).
Intorno c’è il più grande parco municipale urbano degli Stati Uniti ed è ricco di sentieri, alberi, piante. Ci sediamo sul prato per fare il punto e poi, su consiglio del tassista, anche se preoccupato per le nostre gambe in quanto ci ha chiesto più volte se siamo in grado di camminare su un sentiero in discesa, ci avventuriamo.
Il posto è proprio bello, la terra quasi rossa, oggi fa caldo e c’è un bel sole, respiriamo aria pulita e in una mezz’ora, senza alcuna fatica (meglio chiarire), raggiungiamo, in fondo al sentiero, un chiosco dall’aspetto semplice e curato. Curiosiamo e, non c’è dubbio, il cibo che offrono è casalingo. Ci vuole un bel po’ prima che i piatti siano pronti, ma ci accomodiamo su sedili di legno, circondati da abeti e, soprattutto, da scoiattoli. L’ambiente è piacevole e bucolico, una signora dall’abbigliamento un po’ trasandato, i lunghi capelli grigi e scarpe bucate, scorre delle riviste e prende appunti, mentre il suo gatto rosso le si struscia addosso con fare regale.
Ogni parte di quell'insieme richiama il relax, la pace, la serenità.
Tornati in hotel chiediamo all’addetto di tenere le nostre valigie in custodia nell’apposita stanza e questo risponde che vuole la mancia. Non abbiamo neanche un dollaro con noi! Abbiamo sempre pagato e dato mance con le carte di credito. Corriamo a cercare una banca nei dintorni.
Tornati in hotel aspettiamo venti minuti che il vallet ci restituisca la nostra Texi, mancia anche a lui, ora con i miei dollari di carta mi sento prodiga, recuperiamo i bagagli e via, sull’autostrada c’è parecchio traffico, ma il figlio guida senza incertezze.
Ci dirigiamo verso la prossima tappa che è l’aeroporto, dove dobbiamo consegnare l’auto al chiosco della Sixt. Da lì prendiamo il loro bus che ci accompagna in un posto in cui intercettiamo la navetta del prossimo hotel dove trascorreremo la notte: il Westin con piscina, negozi e ristoranti.
Qui ceniamo, io mi gusto un’insalata con i gamberetti e l’immancabile birra.
La notte passa serena, anche se siamo vicini all’aeroporto, sveglia alle sette, abbiamo un sacco di cose in programma.
Per giunta è il 31 dicembre!
E nessun progetto per Capodanno.
Colazione abbondante e navetta verso il nostro aereo. Molliamo in stiva tutte le valigie, ora i nostri bagagli consistono in due borsoni nuovi (strapieni), due trolley e due valigioni, oltre ai nostri zaini, il viaggio sarà breve e non temiamo di perderli, infatti siamo diretti a San Francisco.
Alla partenza c’è la solita nebbia che pare sia normale a L.A., ma poco dopo il decollo esce un bel sole.
Il panorama è stupendo, si vede la costa e un mare che va dal cobalto al lapislazzuli. Una leggera schiuma chiara si abbandona sulla spiaggia.
Finché ho campo cerco di fare gli auguri ad amici e parenti e sui social, ma presto spengo il telefono e mi immergo nell’oasi di pace che l’aereo garantisce.
Penso a questa vacanza che sta per finire, una leggera malinconia mi fa ringraziare per la famiglia che ho, per la possibilità di fare un viaggio confortevole in luoghi lontani, per i momenti gioiosi che sto vivendo. Mi avvolgono vibrazioni positive che non posso fotografare ma che cerco di fermare scrivendo.
Raggiungiamo il nostro hotel, cambiato all’ultimo momento. Pare che quello che avevamo prenotato ad agosto si trovasse vicino a una piazza mal frequentata e il figlio decide di farci soggiornare davanti al mare al Harbor Court Hotel.
Entriamo e il caminetto è acceso, l’atmosfera accogliente, grandi divani di pelle in stile Chesterfield sono pronti ad accoglierci, prendiamo due stanze in stile marinaro, piccole ma pulite. Come sempre elimino dal letto tutti i cuscini in eccesso (ma quando Barbieri farà capire agli albergatori del mondo che copriletti, trapuntine, runner e cuscini sono solo acchiappa polvere e, non venendo lavati ogni volta, sono ricettacolo di acari?)
Purtroppo la nostra camera si affaccia su una serie di macchinari, presumo per il riscaldamento, che fanno un discreto rumore e per stanotte prevedo l’uso dei tappi di cera.
Il figlio autista, finalmente senza auto, si rilassa e la stanchezza gli si rovescia addosso.
Per non dover pensare prendiamo un bus turistico, quelli che io chiamo “Babbeo bus” in quanto sono un po’ da turisti incapaci. Però devo ammettere che sono tanto utili per avere un’infarinatura della città, vedere in poco tempo i luoghi più interessanti per poi tornarci, se li si ritengono meritevoli.
Davanti a noi sfilano le casette colorate dette “Painted Ladies”, in stile vittoriano nel quartiere di Alamo Square, poi entriamo nel quartiere Castro, famoso per la sua comunità LGBTQ+, con murales e arcobaleni, scivoliamo nel The Haight, il luogo che ha fatto nascere la cultura hippy, dove negli anni Sessanta è esploso il fenomeno della Summer of Love, attirando giovani intenzionati a creare una società ideale, pacifica e libera.
Dall'alto del babbeo Bus vediamo il Golden Gate Bridge che è rosso e spettacolare, il Golden Gate Park, enorme e pieno di piante che spuntano in ogni dove nella città, i Pier, i famosi moli lungo tutta la passeggiata, i Cable Car, la rete tranviaria a trazione funicolare e le strade che salgono e scendono in maniera impressionante.
Si fa sera, il Capodanno si avvicina, non siamo affatto preparati all’evento. Io e il marito usciamo a cercare qualche cosa di capodannesco, troviamo aperto un 7-Eleven in cui compriamo gli immancabili yogurt, un po’ di acqua e l’unica bottiglia di champagne disponibile.
In hotel, veramente stanchi, ordiniamo cibo da asporto che in pochi minuti ci viene consegnato alla reception.
I figli crollano sui letti, noi ci sentiamo un po' a disagio per non aver organizzato nulla di importante, ma ci giustifichiamo dicendoci che in fondo non capita tutti i giorni di finire e iniziare l'anno a San Francisco e che quindi sarebbe il caso di accontentarci.
Mangiamo, brindiamo con il nostro prezioso champagne e usciamo sulla passeggiata che si sta animando.
La luce del sole sta scendendo, il Golden Gate Bridge, che sembra sempre più vicino, si sta illuminando, baracchini che vendono hot dog con verdura croccante iniziano a spargere i loro profumi speziati.
I preparativi per la festa rendono l’atmosfera frizzante e piena di aspettative.
Riusciremo a stare svegli fino a mezzanotte?
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